Massimo A. Alberizzi
17 marzo 2014
La notizia è di qualche giorno fa, ma è stata resa nota solo ora: altro stupro di massa nella fascia orientale Repubblica Democratica del Congo. E’ accaduto a metà febbraio in uno sconosciuto villaggio della regione dell’Ituri. Le milizie di Paul Sadala, meglio conosciuto come Morgan, hanno assalito Zalanambangu e per quattro giorni, dal 7 al 10 febbraio l’hanno messo a ferro e a fuoco. Le Nazioni Unite, che hanno scoperto la tragedia, hanno confermato che 47 donne sono state violentate, 155 perone rapite, 75 capanne distrutte.
E’ stato richiesto l’immediato invio di un contingente di caschi blu della MONUSCO (Mission des Nations Unies pour la Stabilisation du Congo) e dell’esercito regolare FARDC (Forces Armées de la République Démocratique du Congo) nella zona per difendere le popolazioni locali e le miniere che, da quelle parti abbondano. Ma l’impresa è titanica: siamo in piena giungla con villaggi sparsi un po’ ovunque.
In questi giorni il Fondo della Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA) ha reso note le statistiche sulle violenze sessuali perpetrate in Ituri l’anno scorso: sono stati registrati 2447 casi. Registrati vuol dire che si tratta di vittime che si sono rivolte a qualche organizzazione umanitaria per chiedere aiuto. Si suppone che il numero reale potrebbe essere almeno il doppio. Il rapporto, comunque sostiene che il 77 per cento degli autori degli stupri sono civili, il 16 per cento miliziani e i soldati e poliziotti il 7 per cento.
Sono ormai diverse settimane che gli uomini legati a Morgan attaccano le popolazioni civili nella Okapi Fauna Reserve . Fino all’anno scorso Morgan era molto conosciuto nella Provincia Orientale come bracconiere di elefanti e rinoceronti. Ma da settembre si è rivolto verso attività ancora più redditizie: assalta le miniere d’oro nella regione di Mutshatsha, Kulungu e perfino Lubumbashi, molto più a sud, in Katanga.
Durante gli attacchi ai siti delle miniere i suoi uomini oltre a portare via l’oro, assalgono i villaggi, li saccheggiano, rubando il cibo e qualunque oggetto gli possa tornare utile, stuprano le donne e rapiscono ragazzi e ragazze. I primi gli servono a portar via il bottino, e dopo un po’ diventano anche loro banditi, e le ragazze vengono utilizzate come schiave del sesso, e quindi formalmente mogli dei miliziani.
Alla fine dello scorso anno i suoi uomini, guidati dal comandante Manu Mboko, hanno attaccato l’area mineraria di Sohuma, a sud ovest dalla città di Mambasa. Sei donne stuprate e 50 persone prese in ostaggio e rilasciate solo dopo pagamento di un riscatto in denaro o il oro
Morgan e la sua banda, nonostante tutti li conoscano come criminali comuni, godono di una totale impunità. Il rapporto degli esperti dell’ONU che monitorano la situazione in Repubblica Democratica del Congo, sostiene che il “pirata” beneficia della protezione dell’esercito grazie alle sue relazioni strette con generali e colonnelli della regione militare di Kisangani (la ex Stanleyville del periodo in cui il Paese era una colonia belga), compreso il comandante in capo, maggiore generale Jean Claude Kifwa.
Gli investigatori dell’Onu hanno stabilito che Kifwa (anche lui accusato di utilizzare metodi “forti”) dà supporto logistico alle bande di Morgan e ostacola gli sforzi del governo per acciuffarlo. Ma non solo il generale sleale, che prima riforniva armi al bandito in cambio di avorio, ora fa lo stesso ma in cambio di oro.
Le protezioni di cui gode Morgan sono ormai chiarissime, ma nessuno, neanche le Nazioni Unite, riesce a far nulla: nel gennaio 2013 uomini dell’esercito e dell’agenzia congolese di intelligence sono entrati nella sua casa a Kisangani e hanno arrestato un buon numero di persone sospettate di essere miliziani della sua famiglia. Il giorno dopo sono stati tutti liberati.
Secondo le informazioni raccolte dal gruppo di monitoraggio Kifwa gode dell’imputità assoluta sempolicemente perché è il cugino del presidente Joseph Kabila Kisangani, al potere dopo che ha vinto elezioni considerate fraudolente dagli osservatori internazionali.
Massimo A. Alberizzi
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