Nostro Servizio Particolare
Cornelia I. Toelgyes
16 marzo 2014
Una guerra nella guerra, forse più feroce e spietata di quella che si combatte con le armi: la guerra contro la fame. “Non so cosa dare da mangiare ai miei sette figli, da tempo si nutrono soltanto con radici di ninfea”. Sono le parole di Rebecca Nyakang , che vive con i suoi bambini, il marito e qualche altra famiglia su un isolotto, ad un’ora di canoa dalla cittadina di Nyal, nella contea di Panyjar, nell’Unity State. Le radici di ninfea contengono poche calorie e sostanze nutritive appena sufficienti per sopravvivere.
La violenza e il dolore cono dappertutto e se la guerra civile che si sta combattendo miete giornalmente vittime, la fame uccide ugualmente. Gli sfollati sono quasi un milione e raggiungono i campi profughi sia all’interno del Sud-Sudan, sia nei Paesi limitrofi, esausti e denutriti. Quattrocentomila sfollati hanno meno di diciotto anni, seimila sono bambini al di sotto dei cinque.
La situazione è drammatica, perché le guerre da combattere, a questo punto, sono ben due. Una è quella civile, la seconda è quella della fame: procurarsi del cibo che non c’è, anche a causa delle terribili alluvioni che hanno colpito sette dei dieci Stati della nazione più giovane del mondo, è quasi impossibile. Inoltre i commercianti non sono disposti a mettere a rischio la loro vita per comprare e vendere derrate alimentari.
L’alluvione del 2013 ha distrutto tutto il raccolto e dunque anche le sementi che sarebbero serviti per quest’anno. Molte zone sono diventate vere e proprie paludi, infestate dalle zanzare e quindi piene di malaria. Impossibile ripristinare i campi per la semina di quest’anno, anche se la popolazione dovesse ritornare nei prossimi mesi. Fra poche settimane gran parte del Sud-Sudan sarà praticamente inaccessibile per le grandi piogge che annualmente si presentano verso aprile/maggio .La popolazione rimarrà senza raccolto anche quest’anno.
Nel frattempo decine di migliaia di persone vivono con pochissimo cibo, vulnerabili alle malattie come dissenteria, colera, tifo, malaria, anche perché prive dell’assistenza sanitaria essenziale.
Alla fine di febbraio di quest’anno anche Valeri Amos, alto funzionario per questioni umanitarie dell’ONU, ha espresso la sua grande preoccupazione per la gravità della crisi umanitaria in atto nel Sud-Sudan. Chi non è stato ferito, ucciso durante gli attacchi di una delle due fazioni, chi è riuscito a scappare, rischia ora di morire di fame o di malattie causate dalla grave denutrizione.
Il Paese è allo sfacelo totale, difficile portare anche aiuti alla popolazione rimasta, perché guerra e alluvione hanno distrutto le strade, anzi le piste perché parlare di strade in Sud Sudan è veramente difficile. Al momento dell’indipendenza nel 2011 c’erano soltanto 60 chilometri di strade asfaltate e tutte, o quasi, all’interno della capitale, Juba.
Oltre tre milioni di sud-sudanesi si trovano in uno stato di grave emergenza o “fase di crisi” (come dicono le note ufficiali) a causa dell’insicurezza alimentare, secondo la classificazione IPC, Integrated Phase Clasification
Challiss McDonough, portavoce del programma alimentare mondiale (World Food Programme), conferma che già i primi di febbraio 2014 le persone a rischio di incertezza alimentare erano ben sette milioni e aggiunge: “A causa della poca viabilità delle strade, quasi tutte distrutte, è difficilissimo raggiungere la popolazione e portare aiuti. Facciamo il possibile, abbiamo delle postazioni mobili per distribuire il cibo. I nostri collaboratori sono attenti alle necessità delle persone e cercano di raggiungerli ovunque, specie nei tre Stati più colpiti dal conflitto: Jonglei, Unity e Alto Nilo.
In queste ore Africa ExPress ha ricevuto una lettera da Kiros Aregawi, direttore del Villaggio SOS Children di Malakal, capitale dell’Alto Nilo: “E’ la fine di un incubo – scrive Aregawi –. Il 14 marzo sono stati trasferiti 53 bambini e sei mamme nella nostra struttura di Juba, la capitale del Sud-Sudan, grazie ad un volo speciale dell’ONU. Altri 53 tra bambini e ragazzi dovrebbero essere trasferiti oggi o domani. Abbiamo trovato una casa con ventun camere. Speriamo vada tutto bene. Deve andare bene”. (Africa-Express aveva parlato di questa drammatica situazione in vari articoli. Tra gli altri: http://www.africa-express.info/2014/02/27/ e http://www.africa-express.info/2014/03/05/
Cornelia I. Toelgyes
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