Torture in Eritrea: “Ogni notte si sentono urla e grida della gente che viene picchiata”

Amnesty International
24 marzo 2014
Prima di essere arrestato e cacciato in uno dei centri di detenzione in Eritrea, Kidane Isaac non pensava di andare a finire all’”inferno”. “In quelle galere ogni notte si sentono urla e grida di persone che vengono picchiate. Io stesso ho subito percosse terribili. Usavano barre di metallo”, racconta il ragazzo ad Amnesty International che l’ha raggiunto nella sua casa in Israele, dove ha richiesto asilo politico e dove ora vive.

Kidane aveva 18 anni e lavorava come operaio edile quando è stato arrestato mentre tentava di fuggire dal Paese per evitare la coscrizione obbligatoria e a tempo indeterminato nel servizio militare. Per sei mesi è stato tenuto in tre diversi centri di detenzione e ora ha descritto le terribili condizioni nelle carceri in Eritrea, dove la tortura e altri maltrattamenti, tra cui percosse gravi, sono prassi comune.

“Il secondo posto dove mi hanno portato si chiamava Mai Edaga. Era molto affollato. Ci davano solo due pagnotte al giorno. Era pieno di mosche. Mosche, mosche tutto il tempo ed era molto sporco. Un luogo terribile”, spiega Kidane.

“Siamo stati arrestati di punto in bianco e portati in prigione. Non c’era nessuna accusa, nessun colloquio, nessun avvocato. Pazzesco”, continua ancora il ragazzo.

La storia di Kidane rispecchia quella di migliaia di altri eritrei, che sono detenuti senza accusa né processo. Alcuni sono in galera da vent’anni. Secondo Amnesty International almeno 10.000 prigionieri politici sono incarcerati arbitrariamente dal governo del presidente/dittatore Isaias Afeworki, al potere dall’indipendenza nel 1993 di diritto e di fatto dal 1991.

“Dopo oltre vent’anni dall’indipendenza, accolta con gioia ed euforiche celebrazioni dalla comunità internazionale, – spiega Claire Beston, ricercatrice di Amnesty International sull’Eritrea – l’ex colonia italiana è uno dei paesi più repressivi, segreti e inaccessibili del mondo. Il governo utilizza sistematicamente arresti arbitrari e detenzioni senza accusa per schiacciare ogni opposizione, per mettere a tacere ogni dissenso e per punire chi si rifiuta di rispettare gli ordini oppressivi imposti alla popolazione.”

Secondo gli eritrei in esilio che hanno raccontato la loro esperienza, ci sono più di 200 strutture di detenzione nel Paese: prigioni comuni, campi militari, stazioni di polizia e i cosiddetti “Istituti di massima sicurezza”. Gli ex detenuti li descrivono come l’”Inferno”. Solitamente le celle sono sovraffollate, con i carcerati costretti a dormire anche all’addiaccio, oppure stesi a terra, uno attaccato all’altro su un fianco, senza potersi girare.

I servizi igienici sono vere latrine sudice e possono essere usate due o tre volte al giorno al massimo. Le malattie infettive sono molto diffuse. L’acqua potabile è poca. Spesso le celle sono sotterranee o sistemate in container bollenti di giorno e gelidi di notte.

La tortura è di routine

Ma non sono sufficienti le condizioni di vita infernali. Molti detenuti sono sottoposti a torture durante gli interrogatori oppure come punizione. Gli aguzzini legano le mani e i piedi dei prigionieri dietro la schiena per lunghe ore, e magari li  espongono anche al sole.

Nell’isola/prigione Dahlak Kebir – nell’arcipelago delle isole Dahlak, la più famosa del Paese a causa delle dure condizioni dovute anche alle temperature molto elevate – un ex detenuto ha raccontato che tre persone sono rimaste legate in questa posizione per 55 giorni. Un altro ha invece riferito ad Amnesty International di aver visto un collega e amico perdere una delle sue mani, dopo essere stato lasciato sotto il sole con i gomiti strettamente legati dietro la schiena.

Un altro ex prigioniero ha parlato del giorno in cui ha dovuto spostarsi tra due centri di detenzione: “Ho camminato a piedi nudi per circa 2 chilometri. E’ stato orribile. Il calore offuscava il mio cervello. Non potevo smettere di camminare altrimenti di miei piedi sarebbero bruciati. Quando qualcuno ha cominciato a ondeggiare, lo hanno colpito. I miei piedi erano gonfi e pieni di vesciche”. Secondo la sua testimonianza le guardie spesso percuotono i prigionieri con fruste oppure li prendono a calci.

Alcune donne detenute hanno riferito di essere state picchiate per aver rifiutato le avances sessuali di ufficiali e guardie carcerarie.

In cima alle condizioni orribili e la minaccia quotidiana di percosse, per Kidane, la prospettiva di anni di carcere aveva provocato uno stato di profonda disperazione. Come migliaia di detenuti in Eritrea, non aveva alcun contatto con la sua famiglia, che a sua volta non sapeva dove fosse o se era vivo o morto.

“Nessuno prevedeva per quanto tempo saremmo rimasti in prigione. Non sono mai stato in grado di ottenere le informazioni sulla mia situazione. Riuscivo a pensare solo a come fuggire”, aggiunge Kidane.

Nell’ultimo carcere in cui è stato detenuto, Kidane ha visto un’opportunità di fuga. Una notte, un amico ha distratto la guardia di turno, lui e due compagni sono riusciti a scappare. I tre hanno raggiunto Asmara e poi attraversato clandestinamente il confine con il Sudan. Ora Kidane vive in Israele, dove ha chiesto asilo politico.

Si considera fortunato e riflette sulla sua nuova condizione di rifugiato: “La vita così è difficile, ma è un’altra cosa rispetto all’inferno che ho vissuto in Eritrea. Considero questo un altro capitolo della mia esistenza”, ha commentato.

Nel corso dei due decenni di vita dell’Eritrea, diventata indipendente nel 1993, Amnesty International ha parlato spesso della difficile situazione dei detenuti. Tutti gli appelli al presidente Isaias Afeworki perché rilasci immediatamente tutti i prigionieri di coscienza e ponga fine alle torture e ai maltrattamenti garantendo il diritto a un processo equo, sono caduti nel vuoto.

Amnesty International

Africa ExPress ricorda che il 18 settembre 2001 sono spariti nelle galere eritree alcuni ministri e alti funzionari del regime, tra cui Petros Solomon uno degli eroi della guerra d’indipendenza. Poco dopo è stata arrestata anche la moglie di Petros, Aster. Africa ExPress ha richiamato ogni anno l’attenzione su questi dirigenti eritrei, onesti e democratici, di cui da allora non si sa più nulla. Il dittatore eritreo va isolato e i suoi interessi in Italia bloccati.

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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