Nostro Servizio Particolare
Cornelia I. Toelgyes
20 febbraio 2014
E’ già finito il cessate il fuoco in Sud Sudan. Eppure i ribelli, guidati da Riek Machar, ex vice- ministro, costretto alle dimissioni l’anno scorso, e le forze governative avevano sigillato un patto, un trattato di pace, ad Addis Ababa, la capitale dell’Etiopia, il 23 gennaio 2014. La rivolta è scoppiata il 15 dicembre a Juba. Migliaia di persone uccise, oltre 800.000 gli sfollati. Ed ora si ricomincia a Malakal, capitale dello Upper Nile State, dove si trovano i pozzi petroliferi. Chi ne ha il controllo, è il “padrone” del Paese.
Nei prossimi giorni, forse, si potrà capire meglio di chi è la responsabilità, ammesso e non concesso che le Nazioni Unite aprano un’inchiesta su quanto sta accadendo.
Le 27 mila persone che hanno trovato rifugio nel campo allestito dall’ONU sono terrorizzate anche perché la battaglia, violenta, si sta combattendo poco fuori i suoi confini, come riferisce Grace Cahill, portavoce del OXFAM per il Sud-Sudan.
Riek Machar appartiene al gruppo etnico nuer e la maggior parte dei militari della sua etnia ha disertato, dando origine alla fazione ribelle che si oppone alle forze governative del presidente del Sud-Sudan, Salva Kiir Mayardit, i cui uomini fanno parte della tribù dinka. Salva sostiene che l’origine delle ostilità iniziate a metà dicembre sia dovuto ad un fallito colpo di Stato inscenato da Machar, che nega vigorosamente l’accusa, ma sostiene che il suo obbiettivo è quello di cacciare il presidente in carica.
L’oro nero è una ricchezza inestimabile. Purtroppo però, molto spesso, in Africa chi si impadronisce del controllo dei giacimenti li saccheggia e non lascia alla popolazione nemmeno le briciole.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
twitter @cotoelgyes
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