Dal Nostro Inviato
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 15 febbraio 2014
Ogni volta che c’è un conflitto tra “ragion di Stato” e “verità” mi viene in mente l’ammonizione di Horacio Verbitsky: “Giornalismo vuol dire diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia. Il resto è propaganda”. L’ennesimo scontro tra le due categorie dialettiche si sta verificando in Mozambico. La vicenda della portaerei Cavour e della squadra navale italiana nell’ex colonia portoghese presenta parecchi lati, diciamo così, curiosi. A Maputo non sono in molti a sapere che i nostri soldati sono stati aggrediti, picchiati e rapinati da agenti della polizia mozambicana e in Italia la notizia è ancora quasi sconosciuta. Le nostre autorità militari hanno voluto mantenere uno strettissimo riserbo sulle vicende e non l’hanno neppure denunciata. Che si sappia, non c’è stata nessuna protesta formale della nostra ambasciata al governo mozambicano.
Mi domando cosa sarebbe successo se agenti della polizia locale avessero assalito militari americani, inglesi o francesi. Credo che le proteste sarebbero state feroci. Avrei preferito un atteggiamento più severo anche da parte italiana, per far chiaramente capire che i nostri soldati non si toccano, tanto più perché sono in Mozambico per un’operazione di cooperazione militare, che costa cara ai contribuenti italiani.
D’altro canto non si possono tenere i militari a bordo del pattugliatore Borsini attraccato a Maputo, impedendo loro di scendere a terra. E allora viene in mente una domanda: e se ci scappa il morto? Non insegna proprio nulla la pasticciata avventura dei poveri marò arrestati in India? Aspettiamo di ritrovarci in una situazione simile? E tutto questo per una mal interpretata ragion di Stato?
Già, altre volte, come giornalista, mi è toccato svelare quanto la ragion di Stato sia nemica della verità. Il 15 settembre 1993 a Mogadiscio furono uccisi due militari italiani, Giorgio Righetti e Rossano Visioli, che stavano facendo jogging al porto vecchio.
Caddero sotto i colpi di “fuoco amico”, come disse prima di morire uno di loro alla radio che stavo monitorando. Forse soldati degli Emirati Arabi, forse americani. Furono accusati i somali, che avevano sì sparato, ma con armi vecchie che non avrebbero mai potuto raggiungere il bersaglio. Il giorno dopo partecipai all’investigazione con il capitano Caruso (bravissimo) trovammo i bossoli di un vecchio mitra russo o cecoslovacco. Caruso scosse la testa e mi disse chiaramente: “Come immaginavo non sono stati i somali”.
Tra l’altro (e faccio un inciso) eravamo i soli ad avere i nomi dei due soldati uccisi, ma Ilaria Alpi, che andava in onda alle 19 italiane sul TG3, con un grande senso di responsabilità si rifiutò di rivelarli: non voleva giustamente che le famiglie sapessero la notizia dalla televisione.
Un’altra volta, il 9 dicembre 1993, quando a Mogadiscio la crocerossina Maria Cristina Luinetti, fu uccisa, secondo la versione ufficiale, da un folle somalo che l’aveva presa in ostaggio. Anch’io avallai questa versione riportandola senza verificarla (per altro era impossibile quella sera). Successivamente, però, dopo indagini non solo mie, ma anche di investigatori delle Forze Armate, fu appurato che a ucciderla furono i carabinieri, che, sparando all’impazzata, assalirono l’ambulatorio dove la ragazza era tenuta prigioniera dal somalo. Vidi una bozza della relazione, che poi scomparve e fu confermata la versione ufficiale che dava la colpa al pazzo. Ragion di Stato contro verità.
Massimo A. Alberizzi
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