Nostro Servizio Particolare
Cornelia I. Toelgyes
2 febbraio 2014
Le lettere dell’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, e dell’arcivescovo di York, John Sentamu (originario dell’Uganda), inviate una decina di giorni fa ai presidenti di Nigeria (Goodluck Jonathan) e Uganda (Yoweri Museveni) e a tutti i capi delle comunità anglicane nel mondo, sono state fortemente criticate da Stanley Ntagali, capo della Chiesa anglicana in Uganda, che in un messaggio di risposta ha sentenziato con forza: “L’omosessualità è contraria alle Sacre Scritture”.
Welby e Sentamu ritengono, invece, che la discriminazione degli omosessuali sia assolutamente da condannare; è contraria ai principi fondamentali dei diritti umani e, non dimentichiamoci, sottolineano: “Dio ama tutti, senza distinzione. Ai gay si deve la massima attenzione pastorale e grande amicizia”.
La Chiesa anglicana ugandese, invece, approva e condivide le nuove leggi, che il presidente Museveni non ha ancora ratificato. In Nigeria, invece, le regole draconiane sono già in vigore e vengono applicate. Qui, tra l’altro, chi è musulmano, omosessuale e residente in uno dei nove Stati nigeriani dove viene applicata la sharia, cioè la legge coranica, rischia la pena di morte per lapidazione.
Ngantali auspica che in Uganda – dove per altro la legge che punisce gli omosessuali è stata approvata con una controversa votazione dal parlamento, ma non promulgata dal presidente Yoweri Museveni – venga rimossa la clausola della pena di morte, prevista nel caso in cui un omosessuale affetto dal virus HIV pratichi sesso con un minore. Il primate di Uganda auspica che venga sostituita con altra condanna meno severa.
La Chiesa anglicana ugandese ha interrotto da anni i rapporti con le consorelle americana e canadese, perché avrebbero violato il patto stipulato durante la conferenza di Lambeth nel 1998, secondo cui: “La Chiesa non può benedire o legittimare unioni di persone dello stesso sesso”.
Ntagali ha chiesto che le due organizzazioni non vengano invitate alla prossima conferenza prevista per il 2018 (negli USA la chiesa ha ordinato un vescovo gay nel 2003) e si augura che i due leader, Welby e Sentamu, facciano un passo indietro. “Non vorremmo – minaccia – dover interrompere i rapporti con la Chiesa madre.
In questi giorni Welby si trova in Africa per una visita pastorale in alcuni paesi del continente. Una mediazione al momento attuale non sembra facile. Molti esponenti africani della Chiesa anglicana sono contrari alla tolleranza verso i gay, come avviene nel mondo occidentale. Non intendono importare nei loro Paesi i modelli europei o nordamericani.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
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Nelle foto: una manifestazione di gay ugandesi, il primate della chiesa ugandese Stanley Ntagali e l’arcivescovo di Canterbury, Justine Welby con la moglie Caroline.