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Nei campi d’accoglienza profughi di Gibuti, dove si muore senza che nessuno se ne accorga

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Cornelia I. Toelgyes
30 gennaio 2014
Epatite è la causa della morte di Thomas Hadish, un giovane eritreo di 20 anni, scappato dal suo paese due anni e mezzo fa. Cercava una vita migliore, la libertà e sperava di trovarla a Gibuti.  “Quando è arrivato era un giovane allegro, pieno di vita”, scrive in una lettera inviata ad Africa ExPress uno dei suoi amici che come lui si trova a Negad, un centro di detenzione per richiedenti asilo, nel cuore dello stato di Gibuti.

Sono 270 gli eritrei detenuti qui, in questa “prigione”.  Come si vede anche dalle foto, è circondata da alte mura con postazioni di controllo. Sono accusati tutti di essere entrati nel paese illegalmente ed invano aspettano tempi interminabili che i singoli casi vengano esaminati da una specifica commissione.

Marciscono qui all’infinito, alcuni sono arrivati sei anni fa, otto di loro con mogli e figli che non vedono dal giorno in cui hanno messo piede a Gibuti. Loro si trovano ad Ali Adi, un campo per sole donne e bambini, situato a 120 km dalla capitale di questa piccola ex colonia francese.

Uno dei detenuti ha raccontato ad Africa ExPress che nel centro dormono tutti praticamente in tende. Il campo è privo di acqua corrente ed elettricità, i bambini non hanno la possibilità di andare a scuola. Pochi contatti con i familiari, non c’è copertura di rete internet, ovviamente.

Il campo di detenzione Negad si trova nel bel mezzo di un centro di addestramento della polizia, che lo gestisce e lo amministra. I rifugiati lamentano che il cibo è cattivo e scarso. Nessuno ti  aiuta a proteggerti da malattie come la malaria e la tubercolosi, che qui sono endemiche. Due anni fa è morto un altro giovane, è stato colpito da tubercolosi.

Molti altri detenuti soffrono di depressione e/o malattie mentali a causa della lunga prigionia; gente svuotata che ha perso ogni speranza. L’assistenza medica è quasi inesistente, i medicinali non sono appropriati o/e insufficienti, scrivono ad Africa ExPress. In questi centri non si muore solo di malaria, di tubercolosi, di epatite: muore anche – e soprattutto – la tua anima per l’indifferenza e per il totale disprezzo dei diritti umani.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
twitter @cotoelgye

Nelle foto le torrette di avvistamento ai bordo del campo di detenzione e in basso il dormitorio 

 

 

 

 

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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