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Nairobi, processo a due italiani accusati di traffico di cocaina (1 tonnellata): “Siamo innocenti”

Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 19 gennaio 2006

Il capo d’imputazione parla chiaro: traffico di cocaina. Non pochi grammi, ma ben una tonnellata e 141,5 chili di polvere purissima, per un valore di 76 milioni di euro. Un’accusa schiacciante che ha distrutto la vita a una coppia di italiani, Angelo Ricci 70 anni,  e sua moglie, Estella Dominga Furuli, 43, da più di un anno rinchiusi in una putrida e affollata cella del penitenziario di Nairobi, capitale del Kenya. Il loro avvocato John Kaminwa è certo: “Loro non c’entrano nulla. Sono i capri espiatori di uno dei più colossali sequestri di droga di tutti i tempi, anche se rischiano l’ergastolo”.

Angelo Ricci e Estela Dominga Furuli alla sbarra durante il processo

La confisca della montagna di polvere bianca è avvenuta a Malindi, il 14 dicembre 2004. Da quel giorno per i due è cominciato l’inferno: “E finire nelle galere keniote non lo auguro a nessuno”, sbotta Estella, argentina, origini calabresi e ridiventata italiana dopo il matrimonio con Angelo. Con loro altri 6 imputati, cinque kenioti e un indiano. 

Ieri, alla seconda udienza del processo l’avvocato Khaminwa, che difende gli italiani, e il suo collega, Michael Billing, scelto da un imputato indiano, Tansukahal Jivanal Thanki, hanno smontato pezzo per pezzo l’accusa, che si basa essenzialmente sulla testimonianza del capo della polizia criminale di Nairobi, Peter Njeru. “Lei sostiene che questa gente abbia voluto smerciare e distribuire droga. Ma ha visto qualche acquirente? Ha visto qualche distributore?”, ha incalzato Billing. L’ispettore visibilmente irritato dalle continue domande per incastrarlo ha dovuto cambiare versione più volte. Il giudice Aggrey Muchelule, il più alto magistrato della Corte di Nairobi, era visibilmente divertito e continuava a sorridere mentre l’ispettore Njeru sudava visibilmente sul cranio rasato alla Yul Brinner.

Njeru forse sognava già la promozione quando, quel memorabile 14 dicembre, ha proceduto agli arresti. Ma i pesci grossi, i registi di questo gigantesco traffico di droga, sei bianchi, due uomini e due donne, con tutta probabilità olandesi, gli sono sfuggiti dalla rete, scappando in Europa il giorno prima. Solo un keniota, George Kiragu, che era il loro factotum locale, è stato arrestato appena sceso all’aeroporto di Amsterdam il 20 dicembre 2004. Gli ispettori dei Paesi Bassi stanno anch’essi investigando e, nell’ambito di questa complessa inchiesta internazionale, hanno proceduto ad arrestare nel loro Paese quelli che considerano i complici di Kiragu: Robertus Johannes Stehman, Hendrik Baptiste Hermanj, Johan Neelen, Arien Gorter and Marinus Hendrik van Wezel.

Tutto comincia il 14 settembre 2004. Due europei, accompagnati da un keniota, George Kiragu, piombano a Malindi alla ricerca di una casa in affitto. Si fa avanti un mediatore, Ibrahim Abdalla Omar, arabo keniota. Si offre di contattare Angelo Ricci che ha a disposizione una villa in zona Casuarina di proprietà di Pompeo Rocchi, imprenditore alberghiero milanese (tra l’altro con partecipazioni all’Hotel Villa D’Este di Cernobbio e all’Hotel Victoria di Menaggio). Rocchi, che vuole disfarsi di quella villa perché a Malindi è stato rapinato a mano armata, l’ha affidata a Ricci perchè se ne occupi: vendere o affittare.

Quando Ibrahim telefona a Ricci per avvisarlo che ha per le mani dei clienti, Ricci è in ospedale a Mombasa per accertamenti. Lui non parla né inglese né swahili e ha difficoltà persino con l’italiano, data la sua pronuncia, in foggiano strettissimo. Se ne occupa la moglie che suggerisce a Ibrahim di rivolgersi al loro factotum a Malindi, Salim Aboud, fino al loro arrivo.

Salim si mette d’accordo e affitta la casa: 4000 euro per sei mesi, la sua commissione e quella di Ibrahim compresa. Ma gli stranieri hanno fretta vogliono entrare subito in quella villa. Estella protesta, non ci sono materassi, occorre aggiustare i bagni, dipingere alcuni muri. Non fa niente, loro vogliono le chiavi. La prima cosa che fanno quando entrano in casa, il 19 settembre, licenziano il giardiniere e la cameriera: <Abbiamo il nostro staff da mettere nella villa>, assicurano.

Angelo Ricci li vede una sola volta e intima a Salim: <Ridagli i soldi. Voglio indietro la villa>. Ma Salim protesta: <Ho già speso la commissione e anche Ibrahim si è già fatto fuori la sua>. Ricci suo malgrado accetta, ma fa un errore: non registra alcun contratto. Sarà il  punto cardine dell’accusa. <Lui conosceva i trafficanti e ha voluto coprirli>, sancisce l’ispettore Njeru.

Estella manda un idraulico per aggiustare il bagno, ma viene respinto al cancello da uno dei bianchi. Stessa sorte viene riservata all’uomo che porta i materassi nuovi. La donna riesce a entrare una volta: <Ho visto quattro bianchi, due uomini e due donne, queste ultime da lontano e non le riconoscerei – spiega al Corriere durante un’intervista rubata nelle camere di sicurezza del tribunale –. Mi hanno chiesto, gentilmente ma con fermezza, di non disturbare oltre. Così me ne sono andata>.

Il 14 dicembre “in base a una soffiata – racconta in tribunale l’ispettore Njeru – due azioni contemporanee della polizia. La prima a Nairobi, frutta 253 pacchi di cocaina pura per 304 chili, la seconda nella casa di Pompeo Rocchi, a Malindi, 701 sacchetti per 837.5 chili”. Totale oltre una tonnellata: un sequestro mastodontico. Quando gli agenti fanno irruzione nella villa italiana non trovano nessuno. Tutti sono fuggiti in gran fretta, lasciando nel cortile un motoscafo Boston Whealer con la chiglia imbottita di droga.

Ricci, informato dell’invasione della Narcotici venuta da Nairobi, cerca di precipitarsi a Casuarina. Ma viene fermato da una telefonata di Piero Romeo, un altro italiano, proprietario del Savana Resort. “Vieni da me che c’è il capo della polizia criminale”, gli dice. Lui dirotta e, invece di presentarsi nella villa affittata, va al Savana. L’ispettore Njeru lo accoglie con le manette tintinnanti.

“Se fossi io il trafficante non sarei forse scappato?”, si difende Ricci che a Malindi tutti conoscono e ne parlano bene. Gli altri, Ibrahim e Salim, sono stati subito scarcerati. Solo George Kiragu è stato arrestato, ma in Olanda, dove le galere, di certo, non sono quelle keniote. Venerdì il processo continua, forse con la sentenza definitiva. L’avvocato teme l’imprevedibilità del giudice Muchelule. Sa che i suoi clienti rischiano l’ergastolo.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi

Nelle foto Angelo Ricci e la moglie Estella fotografati furente le udienze in tribunale a Nairobi

 

Kenya, Shadow of Scandal Hangs Over Ricci Cocaine Case

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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