Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 12 gennaio 2014
Panico, urla e fuggi fuggi generale all’ospedale di Naivasha, a poco meno di cento chilometri da Nairobi, quando è andata via la corrente, tutto è piombato nel buio e, come in un film del terrore, un uomo dichiarato clinicamente morto, già portato all’obitorio nella stanza frigorifera e che stava per essere messo nella bara ha cominciato a respirare, si mosso ha rantolato e poi ha urlato: “Ma dove mi avete portato, fa un freddo cane qua dentro”.
L’uomo Paul Mutora, 24 anni sposato e con un figlio, nei giorni scorsi aveva avuto un incidente con il carretto trainato da un asino che apparteneva al padre. Apparteneva, perché il trabiccolo era andato completamente distrutto (non si sa bene che fine avesse fatto l’animale trainante). Paul aveva avuto una lite furibonda con suo papà e aveva deciso di suicidarsi tracannando una bottiglietta di insetticida.
Era stato trovato in fin di vita dalla moglie che l’aveva portato subito in ospedale. La lavanda gastrica, che si fa in questi casi per fermare gli effetti nocivi del veleno, non era servita a niente e, dopo alcune ore d’agonia, Paul Mutora era stato dichiarato clinicamente morto. Costernazione tra i parenti, urla, pianti e lacrime
L’ultima visita era stata fatta al cadavere ben ricomposto, con le mani congiunte e gli occhi serrati da una mano pietosa. Poi il corpo del morto era stato portato all’obitorio, nella camera fredda dove vengono conservati i cadaveri prima dell’inumazione, Accanto a lui altri tre deceduti il giorno prima, un’anziana donna, un uomo sulla mezza età e un signore con il cranio fracassato in un incidente, adagiati sulle brandine di tela e coperti da un lenzuolo bianco.
I familiari cominciano le procedura per il funerale che in Kenya (ma in Africa in generale) sono piuttosto complicate. Parenti e amici arrivano da ogni parte del Paese. I giorni di lutto sono almeno tre. Tutti visitano la famiglia per portare le condoglianze.
Intanto nella stanza dove giacciono allineati i tre cadaveri i familiari dei “compagni” di Paul Mutura pregano accanto ai loro cari, i cui cadaveri vengono chiusi nelle casse e portati al cimitero. Il trambusto non disturba il giovane suicida. Quando tutti vanno via, lui resta solo per 15 ore, in attesa del suo turno per venire tumulato.
La stanza è chiusa e in quella accanto ci sono infermieri dell’ospedale e inservienti dell’obitorio che chiacchierano e sbrigano lavori d’ufficio. Uno di loro sente alcuni rantoli dalla camera fredda, si terrorizza e avvisa gli altri. Nessuno ha il coraggio di entrare, ma qualcuno avvisa i medici che corrono sul posto e si avvicinano alla porta. I rantoli sono diventati più forti e chiari. Forse è un topo o un animale che è riuscito a intrufolarsi nel locale. Uno dei dottori si arma di audacia e decide di entrare. Sotto uno dei quattro lenzuoli bianchi ai agita qualcosa. L’eroico medico solleva il tessuto all’altezza del volto. Si trova davanti due occhi spalancati e Paul Mutora che si lamenta per il freddo.
Le lacrime di dolore dei familiari si trasformano il lacrime di gioia e il lutto in festa. Spiegherà più tardi un medico dell’ospedale. “Per riuscire a salvarlo gli abbiamo somministrato medicinali che gli hanno reso impercettibile il battito del cuore. Da qui l’errore”.
Massimo A: Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.it
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