Serge Daniel, corrispondente Radio France International, racconta la situazione in Mali, dalla minaccia terrorista di Al Qaeda nel Magreb Islamico, alle forze che si contendono l’Azawad, il Mali del Nord.
Dal Nostro Inviato Speciale
Carla L. Leone
Bamako, dicembre 2013
“Il Sahel è una locomotiva di illegalità che guida tre vagoni: la droga, il terrorismo ed il traffico di esseri umani”. Con questa metafora Serge Daniel, una delle voci più autorevoli del giornalismo dell’Africa subsahariana, racconta ad Africa ExPress la crisi che negli ultimi anni attraversa i paesi del Sahel.
Il conflitto in Mali è il nodo nel quale si intrecciano le varie fila di questa crisi. Ognuno di quei vagoni passa per la parte settentrionale del paese, l’Azawad, dichiarato indipendente nell’aprile del 2012 dal Movimento Nazionale per la Liberazione dell’Azawad (MNLA), a prevalenza di etnia tuareg. A contendersi il controllo dell’Azawad indipendente, oltre all’MNLA, ci sono altre forze in campo: si tratta dei gruppi islamisti MUJAO (Movimento per l’Unità e la Jihad nell’Africa Occidentale) e AQMI (Al Qaeda nel Magreb Islamico).
La storia dei gruppi jihadisti delle sabbie subsahariane inizia negli anni Novanta quando i terroristi algerini del GSPC (Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento) si stabiliscono nel nord del Mali costituendo l’organizzazione terrorista che avrebbe avuto il compito di perseguire l’ideale jhiadista di Al Qaeda nella zona del Magreb islamico. Nasce dunque AQMI, Al Qaeda nel Magreb Islamico.
La maggiore fonte di finanziamento di AQMI è tutt’ora il rapimento di ostaggi. Dal 2003, diversi turisti, volontari e giornalisti occidentali sono stati rapiti nei vari paesi del Sahel e portati nel nord del Mali, dove si procede alle trattative per il pagamento del riscatto. È per questo che il Mali è diventato quello che Serge Daniel definisce efficacemente un “deposito di ostaggi”.
Nel gennaio del 2013, su mandato dell’ONU, nel nord del Mali intervengono le forze internazionali dell’operazione Serval. L’obiettivo è quello di ristabilire la sovranità di Bamako sui territori settentrionali. Serge Daniel spiega ad Africa ExPress che quell’intervento, benché ancora lontano dalla risoluzione del conflitto, ha permesso di contenere l’avanzata delle bande terroriste che imperversano nel nord del paese.
Restano però ancora zone dell’Azawad dove lo scontro diretto tra i gruppi ribelli e l’esercito regolare maliano affiancato dalle forze internazionali è ancora acceso. Si tratta della zona di Kidal, nel Nord-Est del Mali, al centro delle cronache degli ultimi mesi per via dell’assassinio dei due giornalisti francesi Ghislaine Dupont e Claude Verlon, ad opera proprio di AQMI.
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Per arrivare ad una risoluzione del conflitto nell’Azawad occorre considerare la natura sfaccettata che compone il fronte ribelle. La comunità Tuareg che costituisce la maggiore presenza all’interno della galassia indipendentista, non è la sola e non è compatta. Si tratta di una comunità tribale, dunque frazionata e spesso in competizione.
Il quadro presentato da Serge Daniel suggerisce un’unica via per il superamento del conflitto: la regionalizzazione dello stato maliano. Una regionalizzazione che tenga conto della natura tribale delle comunità del nord e che impedisca le scissioni, in grado solo di costituire entità politiche deboli e disorganizzate, facile preda dei gruppi terroristi.
Una lettura chiara ed illuminante di una realtà confusa e apparentemente lontana.
Carla Lucia Leone
carlalucialeone@hotmail.com
Nelle foto Serge Daniel, la copertina del suo libro” Al Qaeda au Maghreb Islamique, l’industrie de l’enlèvement, édition Fayard” uno dei saggi più interessanti sul terrorismo nel Sahara. Infine in una foto di Nakano Tomoaki, Serge Daniel e Massimo Alberizzi, direttore di Africa Express.
Grande Daniel! Mi hai dato una stupenda idea. Grazie.
Con effetto immediato, ho deciso come direttore di Africa ExPress e fino a nuovo ordine, di applicare le regole sulla libertà di stampa quando anche l’Eritrea applicherà le stesse regole. Si chiama reciprocità. Avvisami quando Isayas da dittatore diventerà democratico.
Mi pare una buona regola, non pensi Daniel.
E già che ci siamo, caro Daniel, chiedi anche al tuo governo di liberare il mio amico giornalista Dawitt Issak che è in galera dal 2001. E pure i miei amici Petros Solomon e Woldensaye Duro, che non sono giornalisti ma eroi della gerla di liberazione. (Dai, va bene lo stesso, non te ne avere a male). E poi la povera Aster, la moglie di Petros. Dai fai il bravo.
Infine, mi congratulo con te che non ti senti ricattato quando versi il 2 per cento del tuo stipendio al governo del tuo Paese. Bravo complimenti. Per favore prova a non pagarlo per un anno e poi chiedi di rinnovare il passaporto. Sarai felice di constatare che non te lo rinnoveranno. Comunque stai tranquillo non andrai in galera perché vivi qui in Europa.
A proposito scusa se Africa Express si occupa del destino di voi eritrei. Hai ragione, sei un vulcano di idee. Lancerò una campagna perché Medici Senza Frontiere, Save the Children, la Croce Rossa e perfino quelli di Mare Nostrum e tutti gli altri abbandonino gli eritrei (ma perché solo gli eritrei? Anche gli altri) al loro destino. (Cerca di mandarmi delle foto prese mentre affogano mentre scappano dal paradiso, così le pubblichiamo!).
Infine ho una richiesta. Già che sei un sostenitore della dittatura (posso scrivere sostenitore, visto che ci hai assicurato di non essere né una spia né un collaborazionista?) per favore puoi chiedere se è ancora in vigore la condanna a morte decretata contro di me per gli articoli che ho scritto?
In fondo sei proprio simpatico, Daniel.
maa