Nostro Servizio Particolare
Antonio Mazzeo
10 dicembre 2013
Un’azione di guerra dove nulla è stato lasciato al caso. Dal nome, Operazione Mare Nostrum, a indicare la piena sovranità su uno specchio d’acqua frontiera Nord-Sud, muro invalicabile per la moltitudine di diseredati in fuga da sanguinosi conflitti e inauditi ecocidi. Il Comando operativo, poi, assegnato al Capo di Stato Maggiore della Marina militare. E i mezzi aeronavali impiegati: cacciabombardieri, elicotteri da combattimento, navi da sbarco, fregate, sommergibili e, a bordo, i reparti d’élite delle forze armate.
L’Italia torna a fare la guerra alle migrazioni e ai migranti nel Mediterraneo, sfruttando strumentalmente la tragedia accaduta a poche miglia da Lampedusa il 3 ottobre 2013. Allora morirono 364 tra donne, uomini e bambini senza che l’imponente dispositivo aeronavale nazionale, Ue, NATO e extra-NATO che presidia ogni specchio di mare, facesse alcunché per soccorrere i naufraghi.
Un’operazione militare e umanitaria, l’hanno ipocritamente definita il Governo e lo Stato Maggiore della Difesa, rispolverando l’espressione utilizzata per giustificare gli interventi di guerra in Bosnia, Kosovo, Iraq, Afghanistan, Libia e Corno d’Africa ed aggirare la Costituzione e il senso comune. “Si prevede il rafforzamento del dispositivo italiano di sorveglianza e soccorso in alto mare già presente, finalizzato ad incrementare il livello di sicurezza della vita umana ed il controllo dei flussi migratori”, recita il contorto comunicato ufficiale della Presidenza del Consiglio, mettendo insieme improbabili intenti solidaristici e le immancabili logiche sicuritarie e repressive.
Vaghi i compiti e le funzioni attribuiti alle forze armate; volutamente inesistenti le regole d’ingaggio, ma dettagliatissimo l’elenco dei dispositivi di morte impiegati per rendere off limits il Mediterraneo. All’operazione Mare Mostrum sono presenti quasi tutte le più sofisticate produzioni del complesso militare-industriale del sistema Italia.
Sul fronte anti-migranti esordisce la nave d’assalto anfibio LPD di 133 metri di lunghezza “San Marco”, che, come ha spiegato il ministro della Difesa Mario Mauro, ha la “capacità di esercitare il comando e controllo in mare dell’intero dispositivo, con elicotteri a lungo raggio, capacità ospedaliera, spazi ampi di ricovero per i naufraghi e un bacino allagabile per operare con i gommoni di soccorso in alto mare”.
Poi due fregate lanciamissili classe “Maestrale”, ciascuna con 225 uomini e un elicottero imbarcato; un’unità da trasporto costiero, classe “Gorgona” per il supporto logistico; due pattugliatori d’altura classe Comandanti/Costellazioni”; due corvette della classe “Minerva”.
Più articolati i mezzi aerei: due elicotteri EH.101 della Marina militare dotati di strumenti ottici ad infrarossi e radar di ricerca di superficie, da imbarcare sulla “San Marco” o schierare negli scali di Lampedusa e Pantelleria; quattro elicotteri AB 212 AS, ancora della Marina, giunti a Lampedusa dopo essere stati oggetto di inutili operazioni di bonifica anti-amianto negli stabilimenti di Grottaglie (TA) e Catania; un aereo Piaggio P-180 con visori notturni, impiegabile anch’esso dall’aeroporto di Lampedusa; un bimotore Breguet 1150 “Atlantic” del 41° Stormo dell’Aeronautica militare di Sigonella, con equipaggi misti Aeronautica-Marina, per il pattugliamento marittimo delle aree interessate; due elicotteri HH-3F e HH-139 SAR (Search and Rescue) del 15° Stormo dell’Aeronautica di Cervia (Ra), gli unici mezzi con evidenti funzioni di ricerca e soccorso in mare in caso d’incidenti.
Tra personale imbarcato e di supporto a terra, la nuova crociata anti-migranti conta su 1.500 militari, tra cui spiccano in particolare quelli di pronto intervento della Brigata “San Marco”, indicata dai Comandi della Marina come “uno strumento efficacissimo, capace di rischierarsi rapidamente e di operare in qualsiasi parte del mondo con particolare riguardo alle attività d’interdizione marittima, all’antipirateria e alla difesa delle installazioni sensibili”.
Per l’Operazione Mare Nostrum sono utilizzate anche le Reti radar della Guardia Costiera e della Guardia di finanza, le Stazioni dell’Automatic Identification System della Marina militare e, per la prima volta nella storia per operazioni di vigilanza delle frontiere, finanche un velivolo senza pilota “Reaper MQ 9” del 32° Stormo dell’Aeronautica militare di Amendola (FG).
Quest’ultimo non è altro che uno dei droni-spia già utilizzati dall’Italia nelle guerre in Iraq, Libia e Afghanistan (solo in quest’ultimo conflitto il Reaper ha già totalizzato dal 2007 ad oggi 1.300 sortite a favore delle forze NATO, contro più di 6.000 obiettivi).
Il velivolo teleguidato può volare fino ad 8.000 metri di quota per oltre 20 ore consecutive, consentendo di realizzare riprese elettro-ottiche, all’infrarosso e radar. Secondo il Ministero della Difesa, il drone impiegato in Mare Nostrum “svolge attività di sorveglianza aerea con il duplice fine di salvare vite umane in pericolo e identificare le navi madri, utilizzate dagli scafisti”.
“Anche se la missione annunciata è stata definita umanitaria e di soccorso, desta qualche sospetto la composizione dello strumento aeronavale navale messo in campo”, ha rilevato Il Sole 24 Ore. In particolare, il quotidiano di Confindustria pone l’accento sulle caratteristiche delle unità navali da sbarco e delle fregate lanciamissili, scarsamente utilizzabili in interventi di soccorso in caso di naufragi. “Si tratta di navi da oltre 3 mila tonnellate, pesantemente armate, con poco spazio a bordo per ospitare naufraghi e molto onerose”, aggiunge Il Sole 24 Ore, rilevando invece come queste unità consentano azioni militari più complesse, “da coordinare magari con il governo libico”.
Anche lo schieramento dei droni e della “San Marco” risponderebbe all’intento strategico di contribuire al dispositivo di “contenimento” libico delle imbarcazioni di migranti. “Grazie alla loro autonomia di volo i droni possono sorvegliare costantemente i porti di partenza dei barconi consentendo alle navi militari di raggiungerli appena al di fuori delle acque libiche”, spiega ancora Il Sole 24 Ore. “La nave “San Marco” ospita anche mezzi da sbarco e fucilieri di Marina: mezzi e truppe idonei a riaccompagnare in sicurezza sulle coste libiche immigrati recuperati in mare sotto la scorta deterrente delle fregate lanciamissili”.
Ancora più esplicita l’analisi dell’ex capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica militare Leonardo Tricarico, neopresidente della Fondazione ICSA (ha sostituito il sen. Marco Minniti del Pd dopo la sua nomina a sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri e autorità delegata alla sicurezza della Repubblica). “Sul piano tecnico-operativo bisognerebbe puntare su un robusto passo diplomatico con i Paesi rivieraschi per far sì che i droni, anziché essere impiegati in una ricerca senza mèta in mare aperto (non sono mezzi di sorveglianza d’area), vengano utilizzati per il pattugliamento delle coste libiche, per individuare in maniera precoce le attività preparatorie all’imbarco e fermarle per tempo”, scrive il gen. Tricarico.
“In fin dei conti con la Libia vi sono già attività di cooperazione avviate, è operante un contratto per il controllo della frontiera sud, è stato formalmente accettato un piano italiano di controllo delle frontiere terrestri e marittime, stiamo addestrando da molti mesi le loro forze di sicurezza”, ha aggiunto Tricarico.
La rivista specializzata Analisi Difesa, vicina agli ambienti più conservatori delle forze armate, ha fatto esplicito riferimento alla recentissima stipula di accordi tra le forze armate italiane e il premier Alì Zeidan per rafforzare la presenza di polizia nelle città costiere della Libia e “impedire nuove partenze” di migranti. “L’obiettivo di riportare in Libia i barconi, bloccandoli appena lasciano le coste nordafricane – scrive Analisi Difesa – giustificherebbe la presenza di navi da guerra come le “Maestrale” (utili a esprimere deterrenza contro le milizie libiche armate fino ai denti) e la “San Marco”.
Legittimo dunque il sospetto di alcuni giuristi e delle associazioni antirazziste e di difesa dei diritti umani secondo cui con “Mare Nostrum” si potrebbero ripetere ed ampliare le deportazioni di migranti e richiedenti asilo che furono eseguite qualche anno addietro dai Paesi NATO in accordo con le autorità governative libiche. In verità, dopo il varo del governo Letta dell’operazione militare-umanitaria, lo stesso ministro Angelino Alfano ha ammesso che i migranti fermati in mare dalle unità della Marina e dell’Aeronautica potrebbero essere “sbarcati” in alcuni porti sicuri della sponda sud del Mediterraneo.
“Ci sono le regole del diritto internazionale della navigazione e non è detto che se interviene una nave italiana porti i migranti in un porto italiano”, ha precisato il ministro dell’Interno. Come sottolineato dal prof. Fulvio Vassallo Paleologo, componente del Consiglio direttivo dell’ASGI (Associazione studi giuridici sull’immigrazione), con gli auspicati “sbarchi” di migranti in porti “sicuri” non italiani, “c’è il rischio fondato che si ripetano i respingimenti verso i paesi che non garantiscono la tutela dei diritti umani, come è accaduto nel 2009, quando la Guardia di Finanza italiana riportò in Libia decine di migranti”. Una pratica per la quale l’Italia è stata condannata, nel 2012, dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Ulteriori perplessità dal punto di vista giuridico sorgono poi dalla decisione del governo italiano di assegnare a bordo delle unità della Marina militare alcuni funzionare del Dipartimento di Pubblica Sicurezza – Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere per eseguire in alto mare le identificazioni e i foto segnalamenti dei migranti “soccorsi”.
“L’attività di prima identificazione compiuta subito dopo il salvataggio non sembra che si tratti di formalità che si possa adempiere a bordo di una nave in acque internazionali, quando forse sarebbe auspicabile il più rapido sbarco a terra”, evidenzia il prof. Vassallo Paleologo. “Ancora più grave sarebbe se a bordo delle unità impegnate nell’operazione Mare Nostrum si svolgessero veri e propri interrogatori, senza alcuna garanzia procedurale, magari alla caccia di qualche nave madre, mentre potrebbero esserci altri barconi in procinto di affondare.
Sui naufraghi reduci da un salvataggio traumatico non si possono esercitare quelle attività di polizia che si dovrebbero compiere negli uffici di frontiera con le garanzie procedurali previste dalla legge, con l’intervento di mediatori culturali e non solo di interpreti, con una corretta informazione sulle leggi applicate, in modo da salvaguardare il diritto di chiedere asilo ed i diritti di difesa”.
Le modalità d’impiego del personale di pubblica sicurezza a bordo delle unità navali da guerra è stato stigmatizzato dal sindacato di polizia COISP. “Tredici poliziotti sono stati impegnati dal Dipartimento della P.S. e si occupano di effettuare operazioni di foto-segnalamento di centinaia di migranti”, denuncia il COISP. “Sono stati imbarcati sulle navi della Marina Militare senza che venisse fornito loro alcun tipo d’informazione sul trattamento di missione, alloggiati in ambienti un tempo riservati al personale di leva, in condizioni inaccettabili e inimmaginabili”.
Il sindacato ha poi rilevato un’“inammissibile disparità” del trattamento economico riservato al personale delle forze armate e a quello di PS. “Agli agenti della polizia di Stato vengono erogati una manciata di euro per una missione ordinaria, mentre al personale della Marina viene riconosciuta una indennità giornaliera feriale di 60 euro e di 100 euro per i giorni festivi”.
Tra emolumenti e indennità per il personale e costi operativi dei mezzi aeronavali, l’intervento militare-umanitario assorbirà una spesa tra i 10 e i 12 milioni di euro al mese. Il governo non ha previsto stanziamenti aggiuntivi sul capitolo “difesa” ed è presumibile che il denaro per alimentare la macchina da guerra anti-migranti sarà prelevato dal fondo straordinario di 190 milioni di euro messo a disposizione per far fronte alla nuova emergenza immigrazione.
Come dire che da qui alla fine del 2013, gasolio e pattugliamenti aeronavali bruceranno il 20% di quanto è stato destinato per tutto l’anno a favore del soccorso e dell’accoglienza dei migranti. L’ennesima vergogna in un Paese sempre meno libero, democratico ed ospitale.
Antonio Mazzeo
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