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Un rapporto sulle tragiche verità in Sinai: rapimenti, maltrattamenti, torture e se la famiglia non paga il riscatto, la morte. Ma l’Eritrea continua a negare

Nostro Servizio Particolare
Cornelia I. Toelgyes
7 dicembre 2013
Si sa da anni. Se ne parla poco, eppure Wikipedia dedica un dossier ai prigionieri nel Sinai. Per i potenti della terra, che ne sono perfettamente al corrente, era solo un piccolo problema collaterale in mezzo a tanti altri. Giovedì scorso, 4 dicembre 2013 Meron Estefanos, giornalista ed attivista per i diritti umani, di origini eritree, residente in Svezia, Miijam van Reisen e Conny Rijken dell’università di Tillburg (Olanda), hanno presentato al Parlamento Europeo un loro rapporto sulla situazione nella penisola.

Hanno snocciolato cifre che parlano chiaro: 30.000 (e diciamolo anche per esteso: trentamila) persone rapite tra il 2007 ad oggi. Un giro d’affari inverosimile. Si dice che in Eritrea tutti conoscano almeno una famiglia che abbia avuto un congiunto bloccato nel Sinai. Ebbene, ne conosco anch’io, che vivo nella tranquilla Europa.

Il rapporto evidenzia come il 90 per cento delle vittime del Sinai sia eritreo, il restante 10 per cento somalo e sudanese.

Le persone non vengono solamente rapite mentre sono in viaggio, cercando di raggiungere Israele o l’Europa, ma anche quando sono ospitate nei campi profughi sudanesi ed etiopici. Ma non solo: a volte scompaiono nella terra eritrea stessa con la complicità di ufficiali corrotti. In questo caso spesso si tratta di minori, che, nella maggior parte dei casi, frequentano obbligatoriamente l’ultimo anno scolastico in scuole militari. Le accuse sono chiare, precise, corredate da testimonianze di sopravvissuti all’inferno Sinai.

Chi si occupa di diritti umani è al corrente da anni di ciò che avviene in quel piccolo lembo di territorio egiziano. Atrocità su atrocità senza fine. La maggior parte delle vittime sono state costrette a fuggire da regimi repressivi, guerre, persecuzioni, servizi militari infiniti, dove maltrattamenti e sevizie di ogni genere sono all’ordine del giorno, come esposto magistralmente in un nostro servizio di m.r. di pochi giorni fa.

Pesanti anche le accuse nei confronti di ufficiali eritrei e sudanesi: ufficiali eritrei rapiscono o fanno rapire giovani nella propria terra. Vengono dapprima portati nel vicino Sudan e chiesto un riscatto ai familiari. Se non sono in grado di soddisfare la richiesta, il giovane viene venduto ai terribili trafficanti del Sinai. Lì, vengono torturati, come tutti gli altri loro prigionieri, per estorcere il riscatto alle famiglie. Tortura che può arrivare fino alla morte.

Oppure vengono uccisi per mancato pagamento e, a volte, anche sottoposti ad espianto di organi, come reni o altro. Le donne, oltre ad essere torturate, subiscono violenze di ogni genere e spesso rimangono incinte dei loro aguzzini.

L’ambasciatore eritreo Tesfamichael Gehratu, accredidato nel Regno Unito e in Irlanda è stato intervistato in merito alla questione Sinai e dintorni dalla BBC il 4 dicembre 2013. Ha obiettato che si tratta di bugie.

Se, per caso, si esce vivi da questo inferno, non è detto che la libertà sia dietro l’angolo. Quasi impossibile entrare in Israele, ora che la recinzione di ultima generazione, lunga 230 chilometri ai confini con il Sinai è stata terminata. Chi scappa nel deserto rischia di essere arrestato dalla polizia egiziana, buttato in una prigione per anni. Alla fine c’è il rimpatrio forzato. Chi riesce a raggiungere la Libia è fortunato, a meno che le milizie non lo arrestino. Infine, anche chi riesce ad imbarcarsi non è certo di raggiungere un porto sicuro. La tragedia di Lampedusa non può essere dimenticata.

Poi la lunga permanenza nei centri di “accoglienza”, nell’attesa dei tanto sognati documenti. Finalmente “liberi” si cerca di raggiungere altre mete europee. C’è chi ha parenti nel Regno Unito e deve passare da Calais; un altro mare da affrontare,le cui gelide ed inospitali acque hanno messo fine a più di un sogno.

Il rapporto di Meron Estefanos Miijam van Reisen e Conny Rijken sarà presentata l’11 dicembre prossimo, alla presenza Alganesh Fessaha (dell’organizzazione non governativa Ghandi, nonché vincitrice dell’Ambrosino d’Oro 2013), don Moussi Zerai , presidente dell’agenzia Habeshia e la presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini. Ma non solo in Italia: anche a Tel Aviv, al Cairo, ad Addis Abeba, a Londra, New York, Washington. Per il nostro Paese è previsto un secondo incontro a Lampedusa, simbolo della speranza per migliaia di profughi.

Ora che il mondo sa, saprà, ci sarà una svolta? Come intenderanno fermare questo traffico di esseri umani i potenti della terra? Nel Sinai si va oltre la schiavitù. Puoi incontrare la morte per esserti permesso di sognare, per esserti trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Eppure la carta dei diritti umani parla chiaro: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed con uguale dignità e diritti”

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
twitter @cotoelgyes

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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