DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE
Carla L. Leone
Nouakchott, 25 novembre 2013
Tre giorni fa si sono aperti i seggi per le prime elezioni legislative e municipali in Mauritania dal 2006. Da tre giorni è obbligatorio il silenzio elettorale che vieta ogni campagna pubblicitaria su qualsiasi media, radio, tv, stampa ed altoparlanti. Perfino le tende tradizionali, temporaneamente allestite durante la campagna per le vie di Nouakchott, hanno spento le musiche e i canti che per qualche settimana avevano ravvivato le notti sommesse della capitale islamica.
Più di un milione di abitanti (un terzo dell’intera popolazione del paese) è stato chiamato a votare per i 147 deputati, provenienti da una settantina di partiti, che siederanno all’Assemblea Nazionale, una delle due camere del parlamento mauritano. Quella che si sta delineando è una composizione dell’Assemblea nella quale a guadagnare voti, poltrone e potere saranno i partiti islamici.
Il vincitore di queste elezioni sembra essere il partito religioso moderato Tawassoul, guidato da Cheikhani Ould Beibou, che risulta tallonare l’UPR (Unione per la Repubblica) ovvero il partito di maggioranza del presidente Mohamed Ould Abdel Aziz.
Tawassoul, che fino a ieri non contava che una manciata di eletti, si appresta a diventare la seconda formazione politica del paese. In effetti, il partito di Ould Beibou è stato un po’ la star di questa tornata elettorale: l’unico del fronte delle opposizioni a non unirsi alla campagna di sabotaggio del voto. Gli undici partiti che formano il COD, la Coalizione dell’Opposizione Democratica, hanno sostenuto infatti per mesi il boicottaggio di queste elezioni. La loro pressione però, non ha portato che ad un paio di rinvii.
Il COD non ha mai riconosciuto l’autorità del presidente Aziz, da quando nel 2008 conquistò il potere con un colpo di stato e, nell’estate dell’anno successivo, venne eletto a pieni voti. Quelle elezioni servirono all’ex colonnello Aziz ad ottenere l’approvazione delle potenze Occidentali, che all’inizio lo avevano condannato.
La Mauritania, benché spesso dimenticata perfino dalla sua stessa Africa, rappresenta un paese di importante interesse geopolitico. Tutta l’area del Sahel sta attraversando una fase di crisi profonda, dalle crisi di identità nazionali (come successo nel più lontano Sudan e come sta succedendo nel vicino Mali), alla minaccia dei gruppi jihadisti e banditi che imperversano nelle sabbie subsahariane. Molti giovani mauritani, senza speranze e senza futuro, finiscono per unirsi alla lotta jihadista e costituiscono la maggiore fonte di reclutamento per molte brigate terroristiche riconducibili prevalentemente ad AQMI, Al Qaeda nel Magreb Islamico.
Dal 1960, anno dell’indipendenza della Mauritania, 11 colpi di stato si sono susseguiti fino all’arrivo di Aziz. Per questo primo turno elettorale, la stabilità del fronte di maggioranza sembra aver retto i forti scossoni delle crisi interne e di quelle provenienti dai paesi limitrofi.
Ad ogni modo, la forza democratica che ci si può aspettare da queste elezioni è pressoché inesistente. Il vero rinnovamento non è tra le liste degli innumerevoli partiti indipendenti formatisi in fretta e furia in questi ultimi mesi. Non è in quell’elenco sterminato di sigle che, come le comparse di una commedia, sono destinate a scomparire subito dopo aver recitato la loro battuta.
Carla L. Leone
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