Elvira Ragosta
Radio Vaticana
28 ottobre 2013
In Repubblica Democratica del Congo da diversi giorni le truppe governative combattono contro i ribelli dell’M23 per il controllo della regione orientale del Nord Kivu. Negli scontri ha perso la vita un soldato tanzaniano della missione Onu. L’M23 ha tuttavia detto di voler tornare a sedersi ai negoziati di pace – interrotti lo scorso 21 ottobre – ma solo se ci sarà un cessate il fuoco immediato. Sulla difficile situazione nella zona, che è tra le più ricche del Paese, Elvira Ragosta ha intervistato Massimo Alberizzi, storico corrispondente del Corriere della Sera dall’Africa e direttore del sito “www.africa-express.info”.
R. – La situazione sul campo muta di minuto in minuto. Però c’è un fatto nuovo: l’intervento di un nuovo gruppo ribelle, che combatte contro i governativi. Si chiama “Milizia patriottica di resistenza dell’Ituri. Non si sa bene né la consistenza numerica né la forza; si sa solo che stanno combattendo, anche loro, contro i governativi.
D. – L’M23 pone il cessate-il-fuoco come condizione per tornare ai colloqui di pace. Secondo lei, questa è un’apertura?
R. – Io credo che loro non abbiano intenzione di opporsi fino in fondo, perché i governativi sono più forti, sono appoggiati dalle Nazioni Unite, che hanno elicotteri, aerei… Quindi, ovviamente, sanno di perdere e, in qualche modo, cercano di negoziare.
D. – A proposito della missione Onu, che in questi giorni ha perso sul campo un soldato tanzaniano, secondo lei è una missione che può velocizzare la pace?
R. – Di solito, le truppe delle missioni di pace non combattono con una certa – diciamo – serietà: nel senso che non è roba loro, non hanno interessi… Quindi è anche probabile che questa morte rafforzi la paura nei soldati della missione di pace e che comprometta anche la loro forza militare. Qualche settimana fa avevano preso loro le redini dell’attacco all’M23; adesso, invece, le redini ce le hanno i governativi, i quali – anche loro – non brillano certo per coraggio!
D. – Nella città di Kibumga, 25 chilometri a nord di Goma, sarebbero state scoperte due fosse comuni…
R. – Lì sono in guerra dal ’94 e quindi bisogna vedere a chi appartengono, quanto sono vecchie e chi soprattutto le ha provocate. E’ un territorio che è passato di mano diverse volte, da parecchi gruppi militari.
D. – Gli scontri di questi giorni si svolgono nella regione del Nord Kivu. Siamo al confine con il Rwanda e l’Uganda e ci sono state le accuse dell’Onu nei confronti di questi due Paesi di sostenere l’M23. Potrebbe cambiare lo scenario nei prossimi giorni o nei prossimi mesi?
R. – Io non credo perché le accuse sono state sempre respinte. Io stesso ho visto che i confini sono permeabili ai ribelli che vanno e vengono. Questo per quanto riguarda l’Uganda. Per quanto riguarda il Rwanda, è vero che c’è un appoggio rwandese ai ribelli: loro lo giustificano dicendo che i tutsi, gli stessi abitanti di quelle zone di origine rwandese, sono minacciati di genocidio e quindi, in qualche modo, devono essere difesi, anche se negano un appoggio attivo ai ribelli, in questo caso agli M23. Gli interessi sono vari: ci sono interessi minerari fortissimi. Ma attenzione però: non ci sono solo il Congo, il Rwanda e l’Uganda. Dietro al Congo, al Rwanda e all’Uganda ci sono i veri burattinai, quelli che muovono le redini, quelli che poi sfruttano i minerali e comunque se l’importano nei loro Paesi. Stati che non sono solamente quelli che noi conosciamo – l’Europa, l’America – ma ci sono anche i Paesi dell’ex Unione Sovietica, che sono fortissimi da quelle parti. Il Kazakhstan, per esempio, ha degli interessi fortissimi anche sull’uranio. Il Congo così non può andare avanti! Deve essere spartito almeno in tre o quattro sezioni, se vogliamo tentare una pacificazione. Credo che sia – io lo chiamo – il cinismo della diplomazia, che si ostina ad avere un Paese unico, dove la gente dell’est e dell’ovest non parla la stessa lingua, non ha la stessa religione, non mangia le stesse cose… Sono completamente diversi! Anche il governo congolese che manda le truppe da quelle parta, mande delle truppe che non sono assolutamente autoctone: gente che non parla la stessa lingua, che è lo swahili, ma parla l’Ingala, che è lingua che si parla ad ovest. Molto spesso sono vissute quindi come truppe di occupazione, più che come truppe nazionali.
Testo proveniente dalla pagina http://it.radiovaticana.va/news/2013/10/29/scontri_nel_nord_kivu,_nella_repubblica_democratica_del_congo/it1-741592
del sito Radio Vaticana
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