DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 9 ottobre 2013
La rivista di intelligence Indian Ocean Newsletter pubblica un articolo in cui spiega il suo punto di vista sull’attentato di sabato 21 settembre al Westgate di Nairobi. “A differenza dell’attacco islamista contro l’ambasciata americana a Nairobi dell’agosto 1998 – scrive la rivista -, l’assalto al centro commerciale Westgate, organizzato dagli shebab somali, avrà ripercussioni più prolungate sull’ex colonia britannica. A parte il duro colpo all’immagine del Paese, con conseguenze durature, sul turismo, la violenza dell’assalto (almeno 200 morti e feriti) e la sua durata hanno mostrato come le unità antiterrorismo keniote siano state mal preparate sia nella prevenzione che nella repressione dell’attentato”.
Indian Ocean Newletter, com’è sua abitudine, non rivela le fonti che ha consultato, ma scrive, come anche Africa-ExPress ha potuto constatare a Nairobi, che “nessun assalitore è stato catturato con le armi in mano e diverse persone fra i 15 arrestati sono stati bloccati all’aeroporto Jomo Kenyatta di Nairobi, mentre stavano per lasciare il paese”. Non solo, aggiungiamo noi, non è stato ancora recuperato nessuno dei cadaveri dei cinque terroristi che, secondo le fonti ufficiali, sono morti nell’attentato.
Ci saranno contraccolpi anche sulla comunità musulmana in Kenya, e in particolare su quella somala che già si sentiva trascurata. Il somali kenioti non vedranno un miglioramento della loro situazione ma, esattamente – appare assai probabile – accadrà il contrario.
Secondo l’analista di Indian Ocean Newsletter, Al Qaeda ha assorbito Al Shebab. “L’attacco a Nairobi – scrive infatti – sottolinea la sempre maggiore somiglianza tra l’agenda degli islamisti somali e quella di Al Qaeda, così come mette in luce la vittoria, all’interno degli Shebab dell’ala più radicale, guidata da Ahmed Abdi Aw Godane , alias Mukhtar Abu Zubair, un membro della cabila Issaq Habar Yonis in Somaliland, e del portavoce del gruppo, Sheikh Ali Mohamud Rage, alias Ali Dheere, della tribù murursade.
I due hanno legami di lunga data con Al Qaeda: hanno giurato fedeltà all’internazionale del terrore già nel 2008. Al tempo rappresentavano solo una fazione del variegato mondo shebab in contrasto con le posizioni nazionaliste di Muktar Robow, alias Abu Mansour, un dighil mirifle/lysan, la cui fazione è passata in minoranza già a partire dall’agosto 2011 quando gli islamici, che controllavano gran parte di Mogadiscio, furono cacciati dalla città.
Da allora gli shebab hanno perso terreno in Somalia. Al contrario hanno accresciuto enormemente la loro capacità – grazie all’aiuto di Al Qaeda – di compiere attacchi terroristici a Mogadiscio e nei paesi della regione. Infatti, poco dopo la perdita della capitale e l’intervento militare del Kenya in Somalia alla fine del 2011, il sostegno di Al Qaeda agli shebab è cresciuto.
Un emissario dei gruppi qaedisti, lo yemenita (alcuni dicono saudita) Abu Abdalla al Muhaajir ha visitato le zone controllate dagli islamisti somali. Da quel momento sono arrivate dall’estero parecchie reclute straniere.
Ma all’interno degli shebab non è filato tutto liscio: ci sono stati violenti scontri tra le due correnti quella nazionalista, con legami meno forti con Al Qaeda guidata da Sheck Hassan Daher Aweis e Omar Shafik Hammami (più conosciuto come Abu Mansoor Al-Amriki) e i duri e puri internazionalisti, guidati da Godane. Quest’ultimo è risultato il vincitore. E’ così stata sancita la fusione tra gli shebab e Al Qaeda che sono quini adesso praticamente la stessa cosa
Tra l’altro Sheck Hassan Daher Aweis, scappando dal quartier generale a Brava, è stato arrestato (o si è consegnato) dal governo ed ora è in prigione, mentre Al Ameriki è stato ucciso durante una delle battaglie tra fazioni, intorno a Bardere.
La rivista, solitamente ben informata, a metà dell’articolo indica Mombasa come prossimo obbiettivo. Il governo keniota ha intensificato la sorveglianza dei siti turistici più frequentati i parchi e le spiagge e le agenzie di intelligence del Paese . che per altro non hanno dato gran prova di sé – come abbiamo già sottolineato – temono che i terroristi islamici possano organizzare qualcosa a Mombasa, il più importante porto del Kenya, al centro di una regione musulmana dove operano alcuni imam radicali, com’era Sheikh Aboud Rogo, ucciso nel 2012.
Da Mombasa – ha potuto constatare Africa ExPress dopo una visita a Eastleigh, il quartiere somalo di Nairobi – è arrivato a guidare la filiale keniota degli shebab, Ahmed Ali Iman, dichiarato emiro dal Muslim Youth Center, organizzazione giovanile con sede nella capitale. Ahmed Ali Iman si dice seguace e delfino di Fazul Harun l’uomo che nell’agosto 1998 organizzò l’attentato contro l’ambasciata americana, che andò distrutta. Fazul Harun nel giugno del 2011 a Mogadiscio, di notte, sbagliò strada, incappò in un posto di blocco di soldati governativi e, nello scontro a fuoco che ne seguì, fu ucciso.
Gli agenti della polizia anti terrorismo hanno indagato (e stanno indagando) sui rapporti tra i radicali somali e il Mombasa Republican Council. Cercano poi di tenere sotto controllo i movimenti dei musulmani (anche occidentali, ma non solo) appena convertiti all’islam, ritenuti potenzialmente i più fanatici e pericolosi.
Uno degli obbiettivi sensibili sono gli studi di Radio Salaam, stazione che trasmette in somalo e appartiene all’ex ministro della Difesa keniota di origine somala, Mohamed Yusuf Haji. La stazione è considerata sostenitrice del governo federale al potere nell’ex colonia italiana, odiato dagli shebab.. Ma non solo. Il figlio del proprietario della stazione, Noordin Yusuf Haji , è un ufficiale del servizio di sicurezza, il National Security Intelligence Service (NSIS). I suoi giornalisti vivono nel terrore di essere attaccati.
Le autorità keniote sapevano bene che il loro intervento militare in Somalia, cominciato nel novembre 2011 avrebbe potuto scatenare la reazione dei terroristi islamici Le minacce erano cominciate, violente, subito e il Kenya aveva cercato si parare il pericolo chiedendo l’assistenza di Israele.
L’allora primo ministro Raila Odinga era volato a Gerusalemme immediatamente dopo l’ingresso del corpo di spedizione keniota in Somalia. L’anno successivo a Tel Aviv si era recato l’allora ministro della Difesa , Mohamed Yusuf Haji. Aveva acquistato attrezzature elettroniche per monitorare i confini, specie quelli di regioni remote e disabitate.
Nonostante ciò e nonostante i rapporti privilegiati che i servizi di sicurezza kenioti hanno con l’FBI americano, l’MI6 britannico e il Mossad israeliano, il NSIS National Security Intelligence Service) e APTU (Anti-Terrorism Police Unit) sono stati colti di sorpresa dall’attacco al Westgate. Un’emergenza che i kenioti, commettendo un grave errore, hanno voluto gestire da soli, con le gravi conseguenze finali.
Perfino fonti di intelligence israeliane sono infastidite – come ha potuto constatare Africa ExPress – dal comportamento delle autorità di qui: “Hanno deciso tutto la soli, non hanno ascoltato i nostri consigli”. Solo alla fine hanno accettato l’invito rivolto a un gruppo di ufficiali di andare in Israele per un corso di addestramento e formazione e acconsentito che anche uomini dell’Interpol, giunti a Nairobi la settimana scorsa, partecipassero alle indagini.
Massimo A. Alberizzi
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Nelle foto dall’alto: shabab in somalia con le loro bandiere; poi in azione; Sheck Hassan Daher Aweis; Ali Deere, portavoce degli shebab, un uomo lapidato a Merca e infine Al Ameriki, com’era quando viveva in America e dopo da capo shebab.