DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE
Nairobi, 6 ottobre 2013
Un successo e un fallimento. Mentre in Libia è andata a buon fine l’operazione per catturare Anas al-Liby, a Brava, in Somalia, i Navy Seals hanno dovuto battere in ritirata per il muro di fuoco degli shebab a difesa del loro leader di cui nessuno, né gli integralisti né gli americani, ha voluto rivelare il nome. Si sa solo che l’obbiettivo era uno degli organizzatori dell’attacco al centro commerciale Westgate di Nairobi del 21 settembre che ha provocato almeno 200 morti.
Che gli americani dedicassero un occhio particolare alla Somalia era noto da tempo, come era noto che le operazioni e i blitz già tentati più volte erano falliti. A parte la cattura di Saleh Ali Saleh Nabhan, sempre a Brava nel settembre 2009, e l’attacco del maggio 2008, nel quale fu ucciso Aden Hashi Aeru, altre operazioni non hanno raggiunto l’obbiettivo.
Per esempio, più volte è stata tentata la cattura di Hassan Turki, uno dei leader storici di Al Qaeda in Somalia, e più volte il generale di Allah è stato dato per ucciso. Puntualmente Hassan Turki è ricomparso da qualche parte. Qualcuno dice che potesse essere lui l’obbiettivo dell’attacco di ieri, ma sono pure supposizioni.
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Altri blitz e altre operazioni americane in Somalia sono state tenute segrete da entrambe le parti, specie quelle avvenute in zone remote, lontane da occhi indiscreti. Gli shebab hanno avuto pesanti sconfitte sul piano militare, sono stati scacciati da Mogadiscio e dalle altre città, a parte Brava sulla costa, ultimo porto da cui ricevono rifornimenti. Controllano vaste zone di territorio nella campagne ma non sono in grado di reagire alla pressione del contingente militare dell’Unione Africana.
Sono invece capacissimi di pianificare micidiali attentati come quello recente a Nairobi.
Imperativo per gli americani è catturare le menti, cioè coloro che sono in grado di organizzare atti terroristici devastanti.
Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi
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