DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE
Nairobi, 2 ottobre 2013
La puzza nauseabonda di cadavere colpisce alla gola già due passi dopo l’entrata principale del Westgate. Gli operai al lavoro nel palazzo che ospitava il più moderno, importante, ricco, affascinante, centro commerciale di Nairobi si coprono il viso con mascherine antipolvere. Ma non sono sufficienti. In alcuni angoli del palazzo le narici soffrono e occorre reprimere un violento conato di vomito.
Ma il voltastomaco non è solo provocato dal cattivo odore. Osservando la distruzione sistematica dei negozi, il saccheggio, le gragnole di colpi che hanno trapassato le vetrate, le macchinette per il pagamento automatico del parcheggio sventrate per rubare il denaro contenutovi, le pozze di sangue raggrumato, la ciabatta persa da un bambino dispersa tra le macerie o i detriti che – secondo alcuni – ricoprono ancora un certo numero di cadaveri rimasti là sotto, fa venire un groppo alla gola e aumenta la sensazione di disagio. Non si può non pensare al terrore che devono aver provato nelle loro ultime ore gli ostaggi catturati e trucidati barbaramente da un gruppo di fanatici pazzi.
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Entrare al Westgate non è facile: occorre lasciare a casa il tesserino di giornalista, il taccuino e la penna e sostenere con la stretta sicurezza delle forze speciali a guardia delle entrare del palazzo che si è proprietari di uno dei negozi ospitati fino a sabato 21 settembre nello shopping mall. Se vogliono salvare quello che è rimasto della loro proprietà devono portarlo via immediatamente.
Nonostante le accuse di corruzione lanciate alla polizia in questi giorni, una buona mancia in Kenya apre tante porte. E deve essere stata sostanziosa, comunque, la ricompensa che hanno dato gli shebab ai capi della sicurezza. Uno stratagemma per ottenere documenti di identità falsi (come ha accertato l’inchiesta) per far passare i terroristi che per alcune settimane hanno imbottito con armi e munizioni, utilizzate durante l’assalto, il negozio da loro affittato.
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La polizia è stata accusata, una volta finita la battaglia, di aver saccheggiato i negozi più accessibili. In realtà sono stati portati via gli oggetti di valore piccoli, che potevano essere presi al volo e messi in tasca. Nella bottega di abbigliamento di Angie, una signora catalana, i vestiti ci sono tutti, ma sono spariti gli orologi e i monili. Non parliamo dell’elegante gioielleria piazzata proprio all’ingresso del Westgate: razziata completamente. “Sono stati i terroristi e i civili entrati a soccorrere i feriti”, è la difesa delle forze dell’ordine. Ma appare poco credibile che gli shebab abbiano voluto riempirsi le tasche prima di morire. Per altro i soccorritori non sono mai entrati soli, ma sempre al seguito delle forze dell’ordine.
Sono riuscito a entrare nel centro commerciale dieci giorni dopo l’assalto e sei dopo la fine dell’assedio. La devastazione è totale. Non oso immaginare cos’ha trovato chi è entrato martedì o mercoledì della scorsa settimana Ora non ci sono più cadaveri sul pavimento; sono sotto le macerie del parcheggio, ma le pareti sono impregnate di morte.
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Il silenzio è irreale. Gli operai al lavoro sembrano marionette che si muovono senza fare il minimo rumore. Spostano i tavolini dei bar, i resti degli arredamenti distrutti, comminano su un tappeto di grosse schegge di vetro frantumato, come in un film muto. Perfino quando usano enormi scoponi per spazzare il pavimento non fanno fracasso. Non c’è nessuno che urli o dia ordini sguaiatamente. I militari controllano che nessuno saccheggi o porti via quel che resta.
Dicono che siano state commesse atrocità, che alcuni ostaggi siano stati sgozzati, altri, una volta uccisi, mutilati, alcune donne violentate prima di essere barbaramente ammazzate. Non so se sia vero, ma in un angolo in una zona oscura dove non arriva un filo di luce ma esce una puzza terribile, ci sono i resti di quella che doveva essere una pozzanghera rossa di sangue raggrumato.
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Non mi fanno entrare da Nakumatt, alcuni uomini stanno bloccando con grosse lastre di legno i due ingressi (uno al piano terreno l’altro al primo) dell’enorme supermercato della catena più prestigiosa del Kenya. Gran parte del negozio si trovava sotto il parcheggio crollato. Faccio appena a tempo a scattare una fotografia dove si vedono le macerie e, in fondo, la catastrofica devastazione causata dal crollo del parcheggio.
Mentre sono lì a girovagare tra i negozi distrutti cercando di rubare qualche immagine, arrivano gli uomini della Croce Rossa. Trascinano quattro barelle, quattro cadaveri recuperati da qualche parte. A giudicare dalla puzza sono in evidente stato di decompisizione. C’è da domandarsi se domani il bilancio ufficiale dei morti, rimasto fisso a 61 civili, 5 terroristi e sei militari, sarà ritoccato. La Croce Rossa parla di una settantina di dispersi. Ma meraviglia che le autorità sostengano che non si trovano i cadaveri dei cinque terroristi uccisi; dove sono finiti?
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Le banche sono devastate ma le casseforti hanno resistito ai tentativi di effrazione. Crivellate di colpi, ma quasi intatte. Al Westgate c’erano negozi con marche italiane, sono rimasti i manichini testimoni muti di una tragedia che sta scuotendo un’intera nazione. In un’ala del palazzo dove c’era il prestigioso negozio di arredamento Palacina Interios ci ci sono i resti di un incendio.
L’Art Cafè era il locale più famoso della città. Non c’è uno straniero residente o di passaggio a Nairobi che non si sia seduto qui a bere o a mangiare qualcosa. I camerieri stanno lavorando sodo ed è quasi ripulito. Sedie e tavolini sono ammonticchiati in un angolo. Una parete è crivellata dai proiettili, ma tutto sommato non è danneggiato del tutto. Due bianchi, israeliani, sono affaccendati a dare ordini perché siano sgombrati i resti di qualche tavolo e qualche sedia sbriciolati. Il piccolo armadio dov’era contenuto il video registratore e le connessioni alle telecamere, è stato forzato e le apparecchiature frantumate. In un angolo una montagna di bottiglie di birra vuote. “Ma i terroristi islamici non bevono alcool”, faccio notare a un inserviente che mi risponde con un sorriso (il primo che vedo da quanto sono lì dentro): “Ma qui ci sono stati anche i poliziotti”.
Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi
Nella prima foto le macerie del parcheggio crollato
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I poliziotti sembrano i vari Alfano Cicchitto Brunetta Ghedini.