Quando apparve immortalata in foto alle prime luci del quindici agosto scorso, la Chiesa dell’Arcangelo Michele a Giza dava l’aria d’essere un teatro di posa spoglio, una scenografia inerme. Il giorno prima, alle quattro e mezza del pomeriggio, un migliaio di persone era riuscito a sfondare il cancello d’ingresso per fiondarsi all’interno e dedicarsi alla sua totale distruzione. La Chiesa dell’Arcangelo San Michele fu saccheggiata, coperta di scritte pro-Islam, bruciata assieme alla canonica che le stava accanto. E all’alba del giorno dopo, quando le prime luci illuminarono il campo di battaglia, le navate emersero a sostenere un hangar vuoto, annerito dal fumo e ricoperto di detriti, un complesso di rovine premature.
Assieme alla Chiesa dell’Arcangelo San Michele, il 14 Agosto scorso furono attaccati 58 luoghi di culto e più di 160 tra negozi, uffici e residenze di cristiani copti. Poche ore prima le forze armate guidate dal Generale El-Sisi avevano mosso contro i sit-in pro-Morsi della Fratellanza Musulmana a Rabaa al-Adawiya, nel quartiere di Nasr City, e Nahda, davanti all’università del Cairo.
Negli scontri, protrattisi fino a sera tarda, morirono 800 tra manifestanti e forze di sicurezza. E mentre gli occhi di tutti erano puntati sulle icone di Morsi bruciate in mezzo ai bulldozer, sulle battaglie tra sostenitori di El-Sisi e Fratelli Musulmani dall’alto dei ponti sul Nilo, dall’altra parte della città si consumava l’ultimo atto di una rappresaglia contro una minoranza che aveva subito, sotto Morsi, una crescita di violenze che non si verificava da tempo.
Ashraf Ramelah è il fondatore e presidente de La Voce dei Copti (lavocedeicopti.org). Dal 2007 la fondazione si occupa di diffondere informazione sull’oppressione della comunità copta d’Egitto, proteggerne il diritto alla propria religione, alla propria identità e parità dei sessi, e disegnare una linea politica per la comunità copta sfuggita alle persecuzione degli ultimi sessant’anni e ora sparsa nell’Occidente.
“Per capire quanto sta accadendo adesso dobbiamo tornare indietro ai tempi dell’Egitto di Nasser – spiega Ramelah -. Fu sotto di Nasser che i primi egiziani iniziarono a spostarsi sempre più di frequente in Arabia Saudita, e fu lì che acquisirono quei pensieri fondamentalisti che, importati in Egitto, portarono a un clima che sotto la monarchia del Re Farouk non s’era mai visto. L’Egitto monarchico era molto diverso da quello odierno. Il Paese era più occidentale, il livello di cultura era più elevato. E la crisi dei copti fu un processo graduale. Il piano di Nasser, ripulire l’Egitto dalle minoranze sconvenienti, afflisse per primi gli Ebrei. Ma dopo la loro fuga nel 1965-67 toccò per la prima volta ai cristiani. Iniziarono a scappare. Con l’avvento di Sadat i Fratelli Musulmani presero a rafforzarsi, e scoppiarono le prime manifestazioni di violenza contro i copti”.
“Mubarak – continua Ramelah – riuscì a fare un gioco più ambiguo dei suoi predecessori. Assecondò la Fratellanza quando la cosa gli conveniva e quando questa poteva offrire aiuti economici, ma si rivolse ai Fratelli anche quando i cristiani iniziarono a uscire dalle chiese e protestare contro l’oppressione del regime. Fu questa la scintilla della ribellione che portò alla sua caduta. Il 1 Gennaio 2011 scoppiò una bomba davanti alla chiesa dei Santi ad Alessandria, uccidendo 23 persone e ferendone un centinaio. I copti avevano iniziato a pagare per aver rotto il loro silenzio”.
Poche settimane dopo, i Cristiani presero parte al processo che portò alla caduta di Mubarak. Ma non furono tra quelli che poterono beneficiare dei suoi frutti. “Manovre straniere permisero alla Fratellanza di sfruttare quel vuoto di potere. Ma quello che sto notando e che mi preoccupa sono i tanti elementi esterni che anche oggi stanno intervenendo contro la volontà degli Egiziani espressasi nel rovesciamento di Morsi. Elementi esterni che, da Catherine Ashton a Obama e McCain, sembrano voler favorire un ritorno dei Fratelli Musulmani al potere. È una cosa che mi sembra al di fuori di qualsiasi logica politica e diplomatica.”
Una strategia e un pensiero che hanno radici profonde: “Se si guarda alla Storia, dalla formazione dell’Islam si assiste a un fenomeno strano, come una specie di sottomissione del mondo occidentale al cospetto dell’Islam. Lo sottolineava anche la Fallaci nei suoi scritti. C’è una volontà di anti-cristianesimo e anti-giudaismo da parte dell’Occidente di cui non ci si spiega il motivo. Una volontà che, se applicata all’Egitto di oggi, potrebbe infliggere ferite sempre più profonde alla comunità Copta”.
Stando alle fonti governative, i Copti rappresentano attualmente il 10 per cento della popolazione egiziana (per la Chiesa copta le cifre sono decisamente più alte: il numero di fedeli oscilla tra i 20-23 milioni su un totale di 80). E in base al boom demografico del Paese, una buona fetta di quella percentuale sono giovani, una generazione che con la Chiesa copta ha avuto un rapporto travagliato.
“Negli ultimi quarant’anni, sotto la guida del defunto papa Shenouda III – spiega Ramelah – il rapporto tra cristiani copti e la loro Chiesa s’è affievolito. E questo è stato – e rimane – un problema per noi enorme. Il Papa aveva iniziato ad accentrare il potere politico sulla sua persona, a togliere l’iniziativa alla gente al di fuori della Chiesa. E facendo questo, sotto il regime di Sadat prima e di Mubarak poi, ha contribuito a emarginare dalla vita politica l’intera comunità. Oggi i giovani copti a questo si sono ribellati, e spero che con il nuovo papa, Tawadros II, le cose possano cambiare. Certo, ci sono già segnali positivi. Sin da subito il Papa s’è dimostrato contrario a entrare nella vita politica e ha dichiarato che il suo è un lavoro prettamente spirituale. Ed è questo quello che chiedevamo – che la Chiesa fosse al di fuori di ogni decisione politica”.
Una divisione, quella tra religione e politica, che la nuova Costituzione egiziana attualmente ancora in fase di scrittura vorrebbe più marcata. Secondo quanto emerge dagli ultimi sviluppi, i partiti islamici verrebbero, per legge, eliminati dalla scena politica del Paese. “E non sarebbe una novità. I partiti religiosi sono sempre stati vietati sotto ogni Costituzione che l’Egitto abbia mai adottato. Quando nelle modifiche costituzionali approvate nel 1980 fu introdotta la Sharia, la Legge Islamica, un articolo successivo specificava espressamente l’illegalità di ogni partito a sfondo religioso. E così la Fratellanza fu costretta a rimanere un’associazione clandestina, un gruppo proibito. Non vedo perché le cose, soprattutto a fronte delle violenze perpetrate sotto la guida di Morsi, debbano ora di colpo cambiare”.
Quello di cui l’Egitto ha bisogno è di “una politica pura. Una politica non contaminata da alcun credo, perché non appena la religione entra nella sfera politica rischia di limitare lo spazio di azione di ciascuno”. Così come limiterebbe la libertà ad altri livelli. “Penso al sistema educativo egiziano. Penso a quando ero alle elementari io, da bambino, e le parole del Corano formavano forse un due o tre percento del testo di ciascun libro di scuola. Ora perfino i libri di matematica hanno incorporato i loro primi versetti”.
Una troupe di France24 raggiunse la Chiesa di San Michele il 18 di Agosto per scattare foto e raccogliere testimonianze sull’attacco. Dopo quattro giorni, nessun poliziotto aveva ancora fatto visita al quartiere. A Nord del Cairo, nella città di Shubra El-Kheima, sostenitori pro-Morsi avrebbero iniziato da lì a poco a disegnare delle croci nere sulle porte di casa di cristiani copti. Tutto questo nella più totale indifferenza di uno Stato cui da troppo tempo manca la forza – o forse solo la volontà – di dare ascolto alle sue minoranze.
“Il nostro è un tumore che scava nel corpo di questo Paese da almeno 60 anni. Per toglierlo, per curarci, ci vorrà del tempo. Bisognerà lottare per un sistema educativo diverso, lottare per una vita politica diversa, per una società diversa, alla ricerca di una identità che i copti hanno sempre inseguito. È una lotta, e se questa lotta noi la dovessimo perdere non la perderemmo come cristiani o come copti, ma come democrazia, perché la nostra democrazia, se a questo male non si trovasse una cura, rischierebbe di morire”. Prima ancora di aver visto davvero la luce.
Leonardo Goi
Nelle foto, dall’alto: manifestazione di Copti, una chiesa copta al Cairo, il papa copto Tawadros II, altra dimostrazione di donne e infine Ashraf Ramelah