DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE
NAIROBI – Anche in Kenya, come in Italia, la politica viene utilizzata come clava contro la giustizia. Per difendere il proprio presidente, Uhuru Kenyatta, e il suo vice, William Ruto, dalle accuse di aver istigato nel 2007 le violenze post elettorali, che provocarono un migliaio di morti e almeno 600 mila sfollati, il parlamento del Kenya non ha trovato di meglio che ritirare l’adesione del proprio Paese alla Corte Penale Internazionale. Per raggiungere l’obbiettivo di salvare i due leader dalle grinfie dei giudici il parlamento è stato convocato in seduta di emergenza. L’opposizione per protesta ha ritirato i suoi deputati.
La mozione approvata diventerà esecutiva entro 30 giorni, ma il tribunale ha già fatto sapere che comunque andrà avanti nel processo. Quello contro Ruto comincerà la prossima settimana, il 10 settembre, contro Kenyatta il 10 novembre. “Siamo innocenti – hanno sempre protestato Kenyatta e Ruto -. Il processo è politicamente motivano. Siamo oggetto di un accanimento e di una persecuzione giudiziaria. I giudici sono razzisti”.
I due politici kenioti alle elezioni del 2007 si trovavano su due fronti opposti. Kenyatta, di etnia kikuyu, la maggioritaria del Paese, appoggiava il presidente uscente Mwai Emilio Kibaki (anche lui kikuyu), Ruto, kalenjin, invece, lo sfidante Raila Odinga (luo). Nel marzo di quest’anno Ruto ha cambiato casacca e si è schierato con Kenyatta contro Odinga, che ha perso di nuovo le elezioni e di nuovo ha denunciato brogli e inganni.
Al processo la posizione di Kenyatta si è un po’ attenuata (alcuni testimoni hanno ritirato le accuse) mentre quella di Ruto, le cui incriminazioni sono suffragate da prove fotografiche oltre che da documentazioni, si è aggravata.
Il processo dunque andrà avanti ma gli effetti del ritiro del Kenya dallo Statuto di Roma possono essere devastanti per la Corte e il suo funzionamento. Si sa che in Africa la maggior parte dei governanti (dittatori ammantati di una vernice di democrazia) dovrebbe rispondere di crimini contro l’umanità. Non vedono quindi di buon occhio il Tribunale.
Un’intervista al Primo ministro etiopico Melles Zenawi, morto di malattia nell’agosto dell’anno scorso, che feci qualche anno fa, spiega perfettamente quali trabocchetti politici debba affrontare la Corte. Nel 2008, pochi giorni dopo che l’ONU aveva lanciato il mandato di cattura per crimini di guerra e contro l’umanità verso il presidente sudanese Omar Al Bashir, Melles face una dichiarazione a suo favore. Gli telefoni: “Ma come? Mi avevi detto che gente come lui deve essere condannata!”. “Non posso dirlo, altrimenti lui mi organizza una guerriglia ai confini e devo fronteggiare un’altra minaccia”, si scusò. http://africaexpress.corriere.it/2012/08/21/morto_melles_zenawi_ha_giudato/
Le ultime accuse alla Corte da parte del successore di Melles alla premiership etiopica, Hailemariam Desalegn, destano preoccupazione: “La corte è razzista e ha come fine quello di dare la caccia agli africani”.
La corte, di cui fanno parte giudici che vengono dall’Africa, ha vigorosamente respinto le accuse: “Siamo imparziali. E siamo dalla parte delle vittime delle atrocità”. Atrocità che in Africa, purtroppo, si consumano più che in altri continenti. La corte che giudicherà i leader kenioti è composta dai giudici. Chile Eboe-Osuji (presidente, nigeriano), Judge Olga Herrera Carbuccia (domenicana) e Judge Robert Fremr (ceco).
La maggioranza dei deputati del parlamento keniota aderisce alla coalizione Jubilee, dominata dal Kenyatta e Ruto. La mozione per il ritiro dalla Corte è stata presentata e illustrata dal capogruppo di maggioranza, Adan Duale, il quale ha sostenuto che essendo presidente e vicepresidente eletti regolarmente ed essendo inquisiti, il Paese si deve ritirare dallo Statuto di Roma e “sospendere immediatamente ogni contatto, collaborazione e assistenza con la Corte”.
Duale ha sottolineato che gli Stati Uniti, per difendere e proteggere i propri cittadini da persecuzioni motivate politicamente, non hanno mai aderito al trattato. Si è scordato, ovviamente, di ricordare che anche, la Cina, il Sudan, la Siria, l’Iran e altri Paesi, che possiamo definire con un eufemismo “a democrazia non avanzata”, non hanno mai aderito.
Invitando i deputati a votare a favore della mozione, Duale ha ammonito: “Dobbiamo proteggere i nostri cittadini e difendere e difendiamo la sovranità del nostro Paese”. Purtroppo in Africa questa frase, tradotta vuol dire: proteggiamo i nostri dittatori e difendiamo il loro diritto di massacrare chi vogliono.
Comunque in aula gli applausi a favore di Duale sono scoppiati fragorosi mentre i deputati dell’opposizione, il CORD (Coalition for Reforms and Democracy) guidato dall’ex primo ministro Raila Odinga, uscivano dall’aula definendo la mozione un “escamotage per salvare il presidente e il suo vice dalle accuse”.
“Il ritiro dalla Corte – c’è scritto in un comunicato inviato ai media internazionali – non fa onore alla nazione e alla dignità dei nostri leader. Il Kenya non può rifiutare di piegarsi alla legge internazionale”. “La mozione – ha sentenziato ad Africa ExPress un deputato del CORD appena uscito dall’aula – è un insulto alla memoria di quanti hanno perso la vita in quei giorni di violenza politica. E’ un insulto a chi ha dovuto lasciare la casa e ogni bene per non venire ammazzato”.
Il portavoce della Corte, Fadi El Abdallah, nei giorni scorsi, in previsione di una votazione che era scontata, aveva fatto sapere che “il ritiro non può comunque essere retroattivo. Casomai vale per il futuro”. Aveva poi aggiunto che nel caso Kenyatta e Ruto si rifiutassero di collaborare, c’è il rischio che i giudici emettano un mandato di cattura nei loro confronti. Il che complicherebbe notevolmente le cose. E’ la prima volta che un Paese decide di lasciare la Corte il cui statuto è stato ratificato da 121 nazioni di cui 34 africane.
A nulla è valso l’appello lanciato nei giorni scorsi da Amnesty International rivolto ai deputati kenioti perché rigettassero la mozione, per dimostrare di essere contro l’impunità.
http://www.amnesty.org.uk/news_details.asp?NewsID=20949
Il direttore del progetto Africa dell’organizzazione, Netsanet Belay, aveva definito l’iniziativa del parlamento keniota “l’ultima delle azioni di disturbo per contrastare il lavoro del tribunale internazionale nell’ex colonia britannica e in tutto il continente”.
Ora non resta che aspettare la prossima settimana e vedere cosa accadrà all’Aja all’apertura del processo contro William Ruto.
Massimo A. Alberizzi
twitter @malberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
Nella foto in alto Ruto e Kenyatta durante la campagna elettorale dell’inizio dell’anno. Cinque giudici della Corte Penale Internazionale: da sinistra Robert Fremr, Anthony T. Carmona, Howard Morrison, Olga Herrera Carbuccia, and Chile Eboe-Osuji. Il primo e gli ultimi due fanno parte della camera che giudicherà Kenyatta e Ruto. Massimo Alberizzi parla con Melles Zenawi. Il palazzo della Corte a L’Aja e infine il suo logo