Come volevasi dimostrare. Qualcuno forse credeva realmente che Robert Mugabe, il padre padrone dello Zimbabwe, avrebbe lasciato il potere? L’uomo, diabolico, l’ha fatto credere persino ai suoi nemici e li ha attratti nella trappola elettorale. Ha fermamente voluto queste elezioni ma non per un improvviso attacco di democrazia e libertà, ma semplicemente perché voleva sbarazzarsi di un opposizione divenuta – nonostante i brogli della scorsa tornata nel 2008 – troppo forte e ambiziosa.
E così ha preparato un trabocchetto: “State tranquilli, se perdo me ne vado”. Morgan Tsvangirai, il leader dell’MDC, Movement for the Democratic Change, c’è cascato in pieno, attratto dalla prospettiva di sbarazzarsi finalmente del vecchio satrapo.
I brogli sono stati organizzati per bene e per tempo. Gli apparati della polizia e quello dell’opposizione sono stati organizzati per bene. Non c’è stato quasi bisogno di imbrogliare i risultati delle urne. E’ bastato impedire a un milione di elettori di recarsi al seggio elettorale, cancellando il suo nome dalle liste degli aventi diritto al voto. Gli elenchi sono stati tenuti segreti fino al giorno prima delle elezioni e così nessuno ha potuto verificare se il suo nome fosse stato correttamente inserito tra gli elettori. Una pratica messa in atto soprattutto nelle zone urbane dove è più forte la presenza dell’MDC.
Abile e astuto l’uomo non ha ammesso osservatori occidentali alle elezioni ma solo i settanta designati dall’Unione Africana capeggiati dal nigeriano Olusegun Obasanjo, settantacinquenne ex generale esperto in colpi di Stato ma anche con una certa pratica democratica, e i settemila delle organizzazioni non governative locali.
Obasanjo dopo aver in un primo tempo sostenuto che tutto sommato le elezioni in Zimbabwe erano state regolari, ha ammesso che ci sono stati incidenti da investigare. Mentre dalle organizzazioni non governative è arrivata la critica durissima: “Il processo elettorale è stato truccato”. Morgan Tsvangirai ha annunciato ricorso legale all’Alta Corte. Pensare che venga accolto è pura utopia.
Mugabe, 89 anni, è al potere dall’indipendenza, ottenuta nel 1980, prima come primo ministro e poi, dal 1987, come presidente assoluto. Ossessionato dalla lotta contro gli omosessuali e dal colonialismo sembra sia costantemente sul punto di essere isolato. Gli americani, i britannici e l’Unione Europea mantengono contro di lui e i dirigenti del suo partito, lo ZANU-PF, sanzioni abbastanza dure, per esempio impedendogli di viaggiare.
Ma lui le evita abilmente, per esempio presentandosi a tutti i vertici internazionali. Per quelli della FAO è stato più volte anche a Roma. Al suo seguito la moglie Grace che ama fare compere nei negozi di via Condotti.
Massimo A. Alberizzi
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