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L’infibulazione, una piaga che affligge 130 milioni di donne

Speciale per Africa ExPress
Massimo A. Alberizzi
23 luglio 2013

Più di 125 milioni di bambine e donne sono state sottoposte a mutilazioni genitali femminili/escissione (MGF/E) in Africa e Medio Oriente. Una su cinque vive in Egitto. Nei prossimi dieci anni 30 milioni di bambine rischiano ancora di subire questa pratica. Lo afferma l’ultimo rapporto dell’UNICEF, ”Female Genital Mutilation/Cutting: A statistical overview and exploration of the dynamics of change”, elaborato sulla base di 70 indagini rappresentative a livello nazionale nell’arco di vent’anni. Oggi è la raccolta più completa di dati e analisi sul tema.

Secondo un’antica tradizione che risale ai tempi dei faraoni, quella che viene chiamata anche “circoncisione femminile”, riguarda la rimozione, in toto o in parte, della parte esterna dei genitali delle donne. In alcuni casi comporta il taglio del clitoride e la cucitura delle grandi labbra.

A dispetto di quanto molti credono, non è una regola musulmana, tant’è vero che in Arabia Saudita, il Paese culla dell’islam, non viene per nulla praticata. E’ diffusa invece in Egitto e nella fascia dell’Africa sub sahariana, anche tra le comunità cristiane o animiste.

Qualcuno sostiene che la cucitura della vagina sia stata introdotta anticamente durante le guerre per impedire che i nemici violentassero le donne con il rischio che restassero incinte. Poi la pratica ha preso altre forme. L’FGM viene praticata sulle bambine attorno ai 10/13 anni. Sono le madri che la impongono alle figlie, come racconta a Mogadiscio Omar Olad, padre di cinque bambine. “ Ho cercato di impedirlo parlando con mia moglie – ha raccontato ad Africa ExPress – ma per le prime tre non c’è stato nulla da fare. La quarta mi aveva promesso che non l’avrebbe fatta operare, invece l’ha portata di nascosto da una praticona. L’ultima, la quinta, la tengo sotto controllo. Le ho spiegato tutto e l’ho messa in guardia dalle promesse che potrebbe farle la madre per indurla a seguirla da qualche parte”.

Le leggi servono a poco. In alcuni paesi l’FGM è stata messa al bando e le pene sono severe per chi si presta a mutilare le bambine, ma la tradizione è forte da sradicare. Le comunità non parlano di queste cose e ognuno crede che tutti siano d’accordo con questa pratica disumana e subiscono il condizionamento sociale. “Le ragazze non operate rischiano di essere messe al bando dalla società – spiegava qualche anno fa Starlin Arush – un’intellettuale somala uccisa a Nairobi, ufficialmente durante una rapina a mano armata ma più probabilmente per una vendetta, come sostiene qualcuno -. E’ per questo che occorre parlare e spiegare. Sono soprattutto le madri che pretendono di far operare le proprie figlie”, aveva confermato Starlin.

L’Unicef oggi conferma che la tradizione è persistente “nonostante siano ormai cento anni che si tanta di sradicare. Nelle attuali condizioni trenta milioni di ragazze potrebbero subire l’infibulazione nei prossimi 10 anni”.

Certo l’incidenza è diminuita. Le ricerche, condotte in 29 Stati di Africa e Medio Oriente nei quali si continuano a praticare le MGF, spiega l’Unicef, rilevano che rispetto a 30 anni fa le bambine hanno meno probabilità di essere sottoposte a mutilazioni, e che il sostegno alla pratica è in declino, anche nei Paesi dove è ancora largamente diffusa, come Egitto e Sudan.

Anche Somalia, Guinea, Gibuti ed Egitto registrano un alta prevalenza di mutilazioni, con più di 9 donne e bambine su 10 tra i 15-49 anni che hanno subito tale pratica. E non vi è stato alcun calo significativo in paesi come Ciad, Gambia, Mali, Senegal, Sudan o Yemen.

Il rapporto dell’UNICEF mette in evidenza un quadro pericolosissimo. Il condizionamento sociale è molto più forse delle convinzioni personali. Infatti sottolinea l’organizzazione per l’infanzia dell’ONU, “nonostante la metà dei 29 Paesi osservati registri una diminuzione delle mutilazioni, il rapporto evidenzia il divario tra le opinioni personali dei singoli individui e il comune senso di obbligo sociale che perpetua questa pratica, aggravato dalla mancanza di un confronto aperto su un tema così delicato”.

“Il dialogo – sottolinea il documento – è il metodo per combattere la falsa convinzione che ‘gli altri’ appoggino la pratica delle mutilazioni e che si possa rimanere soli in una battaglia non condivisa”.

Secondo l’UNICEF oggi, però, le bambine hanno meno probabilità di subire questa pratica rispetto alle loro madri. In Kenya e in Tanzania le ragazze tra i 15 e i 19 anni hanno tre volte meno probabilità di essere mutilate rispetto alla generazione di donne che oggi ha tra 45 e 49 anni. L’incidenza del fenomeno, inoltre, è scesa di ben quasi la metà tra le adolescenti in Benin, Repubblica Centrafricana, Iraq, Liberia e Nigeria.

L’istruzione può giocare un ruolo fondamentale nel favorire i cambiamenti sociali; più le madri sono istruite, minori sono i rischi che le loro figlie vengano mutilate e più le ragazze frequentano la scuola, più facilmente possono confrontarsi con altre persone che rifiutano tale pratica.

“Le mutilazioni genitali femminili sono una violazione dei diritti alla salute, al benessere e all’autodeterminazione di ogni bambina – ha spiegato Geeta Rao Gupta, Vicedirettore esecutivo dell’UNICEF -. Ciò che emerge dal rapporto è che le legislazioni da sole non bastano. La sfida, adesso, è di lasciare che bambine e donne, ragazzi e uomini levino la loro voce e affermino con chiarezza di rifiutare questa pratica dannosa”.

“Selvaggia”,  la definiva Annalena Tonelli, uccisa a Bòroma, in Somaliland da un gruppo di fondamentalisti venuti da fuori che odiavano la sua campagna contro l’infibulazione nella quale aveva coinvolto le comunità del villaggio, gli imam locali e molte madri e soprattutto un gran numero di padri.

Il nuovo rapporto dell’UNICEF, infatti, rileva che oltre alla maggior parte delle ragazze e delle donne che sono contro la pratica, anche un numero significativo di uomini e di ragazzi la rifiuta. In particolar modo in tre paesi – Ciad, Guinea e Sierra Leone – sono addirittura più gli uomini che le donne a volere la fine delle mutilazioni.

Quello che emerge con chiarezza dallo studio è che non sono sufficienti soltanto le leggi, che nelle zone più impervie e rurali restano spesso inapplicate. “Occorre invece che tutti gli attori (governi, organizzazioni non governative e comunità locali) promuovano un cambiamento sociale positivo attraverso programmi e politiche mirate all’eliminazione delle mutilazioni come a tutte le altre forme di violenza contro i bambini, direttamente o indirettamente legate a norme sociali”.

L’UNICEF rileva comunque che “ci sono ancora alcuni Stati come Camerun, Gambia, Liberia, Mali e Sierra Leone che non hanno una legislazione in materia. In questi Paesi l’UNICEF è particolarmente impegnato nel fornire sostegno tecnico ai governi affinché vengano elaborate delle normative specifiche”.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi
La percentuale di donne che hanno subito l’FGM da 15 a 49 anni

Somalia 98%
Guinea 96%
Gibuti 93%
Egitto 91%
Eritrea 89%
Mali 89%
Sierra Leone 88%
Sudan* 88%
Burkina Faso 76%
Gambia 76%
Etiopia 74%
Mauritania 69%
Liberia 66%
Guinea-Bissau 50%
Ciad 44%
Costa d’Avorio 36%
Kenya 27%
Nigeria 27%
Senegal 26%
Rep. Centrafricana 24%
Yemen 23%
Tanzania 15%
Benin 13%
Iraq 8%
Ghana 4%
Togo 4%
Niger 2%
Cameroon 1%
Uganda 1%

Nota i dati per il Sudan riguardano solo il Nord. Per il Sud Sudan non ci sono dati
Fonte Unicef

 

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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