Un capo ribelle sudanese, Saleh Mohammed Jerbo Jamus, più conosciuto semplicemente come Salah Jerbo, accusato dal tribunale penale internazionale di crimini di guerra, è stato ucciso in combattimento in Darfur. Lo hanno comunicato gli avvocati che lo difendono a L’Aja, secondo cui il leader sarebbe morto venerdì scorso in combattimento in Nord Darfur.
Sarebbe dovuto rientrare in Olanda nel maggio dell’anno prossimo per dover rispondere davanti alla Corte di un attacco contro i peacekeeper delle Nazioni Unite nel 2007. I giudici, però, prima di archiviare il suo caso hanno chiesto le prove della sua morte.
Jerbo, assieme a un altro comandante, Abdallah Banda Abakaer Nourain, è accusato dalla Procura presso la Corte Penale Internazionale (ICC) di tre crimini di guerra: omicidio, commesso o tentato, direzione intenzionale di attacchi contro personale, installazioni, materiale, unità, e i veicoli di proprietà della missione di pace dell’Unione Africana in Sudan (AMIS), e saccheggio. Reati che sia Jerbo che Banda hanno sempre negato e che sarebbero stati commessi nel corso di un attacco condotto il 29 settembre 2007, contro l’accampamento dei peacekeeper del gruppo Haskanita, nella località di Umm Kadada nel Nord Darfur.
Secondo le informazioni diffuse dalla Corte Penale Internazionale, Saleh Jerbo è nato il 1° gennaio 1977 a Shagag Kario, nel Nord Darfur ed è membro della tribu Zaghawa.
Secondo il comunicato dei difensori, Jerbo è stato ucciso “durante un attacco di miliziani di un altro gruppo di darfuriani ribelli del JEM (Justice and Equality Movement) guidati dal comandante Gibril Ibrahim”.
Sia Jerbo, sia Banda, nel 2010 si erano consegnati al tribunale, negando tutti gli addebiti. Erano stati liberati con l’accordo che sarebbero rientrati a L’Aja al momento del processo. Nel 2011 la Corte aveva istruito il processo, confermato le accuse e li aveva riconvocati, appunto per il maggio 2014.
Jerbo al momento della morte dei 12 peacekeeper (tra cui sette nigeriani, un maliano, un senegalese e uno botswaniano) era capo di Stato Maggiore del Sudan Liberation Army-Unity, ma ora faceva parte di una delle fazioni del JEM.
E’ stato seppellito, come richiede la legge coranica, a meno di 24 ore della sua morte avvenuta il pomeriggio del 19 aprile.
Tra gli accusati sudanesi per crimini di guerra e contro l’umanità c’è il presidente della Repubblica Omar Al Bashir, due ministri e un comandante delle milizie filogovernative. Tutti si dichiarano innocenti, anche se ci sono documenti e filmati che li inchiodano alle loro responsabilità. L’ONU stima che in Darfur abbiano perso la vita almeno 300 mila persone. L’attenzione dei media per la regione è scesa, ma i combattimenti e le sofferenze della popolazione continuano.
Massimo A. Alberizzi
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