Odinga vs Kenyatta, dal voto ora si passa alla battaglia legale

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NAIROBI – Siamo alle battute finali della resa dei conti tra i due schieramenti che si sono affrontati alle elezioni del 4 marzo scorso in Kenya. Il kikuyu Uhuru Kenyatta è stato dichiarato vincitore con il 50,07 dei voti (ha superato la soglia del 50 per cento più 1 per poche migliaia di consensi) e ha festeggiato. Raila Odinga che ha perso la corsa al ballottaggio ha annunciato un ricordo alla Corte Suprema: lo deve presentare entro il 18 marzo. A Nairobi tutti sono soddisfatti che elezioni si siano tenute in un clima calmo e sereno, non ci sono stati scontri tra gruppi tribali diversi, tutti elogiano le responsabilità e il senso democratico mostrati dalla popolazione, ma al di là di questo, se si parla approfonditamente con i diplomatici, i giornalisti occidentali e i residenti espatriati emerge la convinzione che le elezioni non si siano svolte in totale trasparenza e qualche trucchetto è stato comunque messo in atto.

 

Non è difficile sentire commenti così: “I kikuyu non intendono per nessun motivo lasciare il potere agli altri”. Il processo elettorale non è esente da episodi quantomeno “curiosi” (è bene usare un eufemismo) che certo fanno riflettere, come quando durante il conteggio delle schede, al centro elettorale di Bomas, sono stati allontanati non solo i rappresentanti dei partiti, ma anche gli osservatori nazionali e internazionali, con la scusa che rumoreggiavano. I primi forse sì (perché non erano d’accordo sull’attribuzione delle schede); ma i secondi invece sicuramente no! Se Kenyatta avesse vinto con un distacco notevole, per esempio 300 mila voti, si potrebbe soprassedere su episodi del genere, ma avendo superato i quorum per 8 mila voti, resta il dubbio che qualche scheda sui 12 milioni e passa depositate nelle urne, possa essere “viziata” (altro eufemismo!).

Secondo la rivista specializzata Indian Ocean Newsletter, Kenyatta già medita di ribaltare la Corte Suprema per eliminare gli amici di Odinga e comunque i giudici indipendenti e piazzare i suoi. Per cominciare già corre voce a Nairobi che siano cominciate le pressioni sul presidente della Corte e Capo del sistema giudiziario Willy Mutunga, un luia indipendente e campione della democrazia finito in carcere quando Jomo Kenyatta, il padre di Uhuru era presidente/dittatore del Kenya. Secondo gli avvocati e i sostenitori di Kenyatta, Mutunga non dovrebbe giudicare sulle elezioni perché ha un conflitto di interessi avendo affitatto una casa che appartiene a Anyang Nyongo, segretario generale dell’Orange Democratic Movement, ODM, il partito di Odinga.

Ma non solo, gli uomini di Kenyatta attaccano Mutunga sul suo avvocato personale, che sarebbe lo stesso che utilizza il CORD (Coalition of Reforms and Democracy) la coalizione elettorale che sostiene Odinga e il suo compagno candidato alla vicepresidenza, Kalonzo Musyoka. In realtà il team di Kanyatta è certo di essere ben piazzato nell’alta corte e ritengono che la maggioranza dei sei giudici (nonostante la tanto sbandierata indipendenza prevista dalla nuova costituzione) sia schierata con lui. A parte Jackton Ojwang, luo come Odinga, Philip Tunoi, il vicepresidente della corte suprema è kalenjin come William Ruto, il compagno di Kenyatta alla vicepresidenza, e Njoki Ndungu kikuyu.

Infine, secondo loro, anche Mohammed Ibrahim, somalo, e Smokin Wanjala, luhya sarebbero favorevoli a Kenyatta. La Corte suprema ha due settimane per decidere; due settimane cruciali per l’ex colonia britannica, in bilico tra democrazia e violenza. La comunità internazionale che dovrebbe mediare e cercare una soluzione politica sembra annichilita e non hanno certo contribuito alla chiarezza le dichiarazioni fatta dall’ambasciatore britannico prima del voto: “L’eventuale elezione Kenyatta, che deve affrontare un processo per crimini contro l’umanità davanti alla Corte Penale Internazionale, rischia di incrinare i rapporti con l’Occidente”. Massimo A. Alberizzi Twitter @malberizzi massimo.alberizzi@gmail.com

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