NAIROBI – La tensione si taglia con il coltello. Per tutto il giorno le strade di Nairobi sono rimaste semideserte. In una città dove il traffico è intenso e caotico, viaggiare in auto speditamente sembrava un miracolo. Ma, al dì là della piacevole velocità di movimento, i volti dei rari passanti in pieno centro nella capitale keniota erano tirati e preoccupati.
“Sono venuta in ufficio ma era meglio fossi rimasta a casa – confessa Esther – un’elegante signora che cammina con passo velocissimo verso un posteggio di taxi insolitamente semivuoto. Corro a casa al più presto. Verrà il giorno in cui in Kenya si potrà votare con tranquillità e senza paura”.
Il timore che il vinto (qualunque esso sia) accuserà il vincitore di brogli elettorali è più che fondato.
Lo spoglio delle schede continua incessantemente e a metà dello scrutinio Uhuru Kenyatta sta battendo il suo rivale, il primo ministro Raila Odinga. I risultati finali saranno noti solo tra una settimana. “Ho paura; lascio lei al volo e torno a casa – annuncia un tassista, Patrick -. Sono tre giorni che gli affari vanno malissimo. Non c’è in giro nessuno!” . Patrick non vuol dire per chi ha votato, ma dice per chi non ha votato: “Il candidato della mia tribù. Quello è un ladrone e in parlamento ha già fatto troppi danni”.
Beh, di danni i politici kenioti ne hanno fatti parecchi. Si intascano una buona fetta del budget dello Stato: i deputati sono tra i più pagati al mondo, più pagati ancora di quelli italiani. Alle prebende ufficiali si sommano poi i proventi della corruzione dilagante. E’ per questo che tutti vogliono sedere in parlamento. Per gestire una fetta, anche minima, di potere e per incassare così un po’ di denaro.
Mi diceva qualche mese fa a Mombasa un massaggiatore che ho dovuto interpellare per un terribile quanto improvviso mal di schiena che non l’avrei più ritrovato lì. “Torno a casa nel nord del Kenya – confidava trionfante – Mi candido alle elezioni. Entrerò in parlamento, la mia tribù è d’accordo e mi sostiene”.
Le sue risposte a domande del tipo “Cosa farai una volta deputato?” Erano sempre le stesse. “Non so bene, devo studiare”, ma il suo obbiettivo fisso, inconfessabile, era questo: mettere le mani sui soldi.
Massimo A. Alberizzi
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