Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Goma (Congo-K), 18 gennaio 2013
Ti fermeresti ore sulla cresta di una collina per ammirare i panorami, goderti il profumo delle piante selvatiche attorno a te, seguire i vortici dei pennacchi lanciati verso il cielo dai due vulcani. E poi lo specchio del Lago Kivu circondato dalle montagne. Ricorda la Svizzera con in più palme, banani, alberi di avocado, di mango, cespi di papaya; e quei due ciuffi di fumo.
Due vulcani, il Nyamulagira e il Nyiragongo, molto vicini tra loro, distanti appena pochi chilometri. Come spiega il vulcanologo italiano Dario Tedesco, che li studia e li segue, non hanno nulla in comune: eruttano lava completamente differente, sia in consistenza, sia in composizione.
Qui il panorama non si perde neppure durante le tenebre. Le cime dei due vulcani si illuminano di un rosso intenso, come se volessero segnare la rotta ai viandanti. Le notti di luna nuova sono surreali. Buio pesto e due scrigni rossi che sembrano volteggiare in cielo pulsando nell’oscurità.
L’est del Congo non è solo una cornucopia spropositata di minerali rari, perciò preziosi, e quindi oggetto di bramosie di uomini d’affari e di politici senza scrupoli. E’ anche un paradiso terrestre, sebbene difficile da godere a causa della guerra perenne che imperversa da una cinquantina d’anni e della povertà, profonda e diffusa, che affoga le popolazioni locali.
La natura è stupenda, selvaggia, misteriosa ma anche terribile. L’ultima disastrosa eruzione del Nyiragongo, nel 2002, ha provocato 147 morti e distrutto un terzo della città di Goma.
Racconta Dario Tedesco: “La sua colata lavica è una delle più veloci del mondo. Alla bocca raggiunge anche i 100 chilometri all’ora. E’ un vulcano pericolosissimo ed è uno dei pochissimi del pianeta con un lago di magma liquido nel cratere. E’ da tenere quindi costantemente sotto checkup.
Avevamo sette stazioni di rilevamento e controllo. Ma qualcuno ha rubato tutti gli strumenti”. Cosa ne avranno fatto, non si sa, ma da queste parti è difficile trattenersi dal gusto di razziare. Tanto, con la polizia corrotta, si è sicuri dell’impunità. Al massimo si divide il bottino con gli agenti.
Al momento dell’indipendenza, nel 1960, un giovane sognatore, Patrice Emery Lumumba, avendo intuito quale sarebbe stata la fine del suo Paese cercò di mettersi di mezzo. Come dimostrato da una commissione d’inchiesta indipendente, fu assassinato dai parà belgi, intervenuti nella loro ex colonia per bloccare una guerra civile, fomentata dal loro stesso Paese per evitare che Bruxelles perdesse l’influenza avuta fino al momento della decolonizzazione.
Lumumba (la sua vita è stata immortalata in un film che all’estero ha avuto un certo successo, ma che in Italia è finito solo in qualche sala d’essai) sognava un Paese democratico, dove i proventi delle risorse minerarie avrebbero dovuto essere destinati alla costruzione di infrastrutture necessarie allo sviluppo e al progresso della sua gente.
Se fosse sopravvissuto sarebbe diventato un feroce dittatore? Con il “se” non si fa la storia, ma certamente, visto il contesto africano, è molto probabile. Sono in tanti i leader nati come combattenti per la libertà e finiti nel girone dei tiranni.
Il sociologo svizzero Jean Zigler, autore di decine di saggi sui temi della povertà e sugli abusi e le ingiustizie dei sistemi finanziari internazionali, http://it.wikipedia.org/wiki/Jean_Ziegler ha ben definito la situazione dei congolesi: “Sono come dei mendicanti poveracci seduti su una montagna d’oro”. Mai immagine è stata più appropriata. E’ difficile fare un elenco delle risorse minerarie del Paese. Platino, oro, argento, diamanti, rame, cobalto, uranio, tantalio, niobio (chiamato anche colombio) e poi quisquilie come ferro, stagno, piombo….Insomma c’è tutto e quest’elenco è incompleto.
La ricchezza è sparsa nel Paese, ma le due provincie orientali del Kivu, il nord e il sud, sono quelle in cui la concentrazione di questo ben di dio è più intensa. E ora che sulle rive dei laghi Edoardo e Alberto sono stati scoperti vasti giacimenti di petrolio, le mani arruffone si sono demoltiplicate. Shell, Total, Chevron, Esso, Eni si sono precipitate in Congo.
“Il giochino è questo – spiega un dirigente della Chevron che per comprensibili motivi non vuol vedere rivelato il suo nome -. Negli Stati Uniti c’è una ferrea legge anticorruzione che vale anche all’estero. Se ci scoprono che paghiamo una ‘kick back’, cioè una tangente, finiamo nelle grinfie del governo che non perdona. Quindi incarichiamo una compagnia straniera o una società sconosciuta creata ad hoc, di seguire le trattative, pagare le relative tangenti a governati, politici e ai loro mediatori e poi consegnarci la concessione chiavi in mano a un prezzo finale, dove non compaiono questi fastidiosi ammennicoli. E’ un mondo opaco dove gigantesche truffe sono in agguato e dove si muovono pescecani pronti ad azzannare. Gente disposta a tutto, che nei salotti buoni si presenta in smoking e sul campo, con in fronte una bandana, imbraccia mitra, maneggia pistole e lancia bombe a mano”.
Personaggi inquietanti che circolano nei fetidi alberghi di Goma e di Bukavu, la due capitali del Nord e del Sud Kivu, scolando fiumi di birra. Di solito loro non si fermano ad ammirare gli incantevoli panorami di questo paradiso terrestre, non si curano dei vulcani o degli umanissimi (e impressionanti) gorilla di montagna che popolano la catena del Virunga, al confine con il Ruanda.
Piuttosto vanno a negoziare con i signori della guerra, con i capi delle differenti fazioni e con i criminali che controllano il territorio. Alcuni restano nei salotti buoni, non si sporcano le mani, ma con grande cinismo arruolano mercenari, chiamati con un eufemismo (politicamente corretto) guardie di sicurezza, pronti ad ammazzare o allontanare scomodi curiosi, compresi i giornalisti.
Cosa che è accaduta qualche giorno fa a Piero Pomponi, un famoso ed esperto fotografo italiano attivo da anni sulle rotte africane (ora abita a Kampala). Era entrato in Congo per indagare sul traffico e contrabbando di coltan (colombite-tantalite, un minerale i cui componenti servono negli apparecchi elettronici) passando dalla frontiera ugandese di Port Mahagi (sul lago Alberto).
Stava andando a Beni, nelle zone controllate dal governo. Dopo pochi chilometri è stato fermato da cinque individui: “Uno, l’autista, era mulatto – racconta Piero –, un secondo aveva gli occhi a mandorla e gli altri tre bianchi che parlavano inglese con un forte accento russo. ‘Cosa sei venuto qui a curiosare? Vattene via e non ti fare vedere mai più’, hanno intimato. Per intimidirmi mi hanno accoltellato al braccio sinistro”.
L’ennesima guerra, cominciata nell’aprile scorso, vede da una parte l’esercito regolare, mal pagato mal organizzato, mal equipaggiato, alleato con miliziani hutu ruandesi (i rimasugli dei responsabili del genocidio del 1994, nel quale furono uccisi in 100 giorni un milione di tutsi e hutu moderati) e guerrieri tradizionali mai-mai. Dall’altra i ribelli dell’M23 (Marzo 23, dal giorno del 2009 in cui fu firmato un accordo di pace, mai rispettato dal governo), organizzati alla perfezione, ben pagati, ben istruiti, ben riforniti (probabilmente dai ruandesi e dagli ugandesi).
Fino a qualche settimana fa i ribelli controllavano qualche settimana fa anche la città di Goma, ma non era difficile attraversare il fronte a una ventina di chilometri di distanza poco dopo il villaggio di Sake e passare dalla parte governativa. Pochi i regolari, tanti i mai-mai, guerrieri tradizionali non perché combattano con lance e frecce, ma perché il loro addestramento prevede un’iniziazione di magia nera, il rispetto di regole esoteriche, l’assunzione di pozioni prodigiose, la protezione del corpo con oli miracolosi. Tutte cose che, secondo loro, li rendono invincibili. Sono convinti che le pallottole quando li colpiscono si sciolgano e diventino acqua (a qui il nome, mai-mai e cioè acqua-acqua).
Il sorprendente non è che loro – persuasi dai loro capi – credano a queste superstizioni, ma che ci credano anche persone che dovrebbero essere lontane da credenze popolari: “Certo le pallottole si trasformano in acqua”, assicura il prete della minuscola chiesa cattolica di Sake. Gli fa eco lo stringer della France Presse: “E’ vero”.
E a Shasha, altro villaggio mai-mai a una trentina di chilometri da Goma, alla domanda rivolta a un guerriero “ma avrai visto qualche tuo compagno cadere davanti a te colpito a morte? Come mai?”, arriva la stupefacente risposta: “Certo, ma non avrà onorato le nostre regole”. Regole ferree, da rispettare. Tra le altre, il giorno prima del combattimento non avere rapporti sessuali, mangiare solo cibo preparato da sé, non stringere la mano a sconosciuti. E poi non saccheggiare (se non le armi e le munizioni), né stuprare. Ecco, questi ultimi due precetti, da queste parti, sono difficilissimi da rispettare. Da qui, probabilmente, l’ecatombe di guerrieri mai-mai, quando si lanciano contro i nemici che scaricano gragnole di colpi. “Avranno saccheggiato una capanna e stuprato la proprietaria nella battaglia precedente”, giustifica serio e senza una smorfia un capo mai-mai.
E i caschi blu dell’ONU, soprattutto uruguayani, che dovrebbero monitorare il conflitto, impedire le violazioni dei diritti umani e proteggere i civili, che fanno? Risponde il presidente dell’Uganda, Yoweri Museveni, con una battuta graffiante: “Turismo militare”.
Effettivamente il loro discusso comportamento è piuttosto marginale, compresso dalla difesa dell’indifendibile imbelle governo congolese e l’ordine di proteggere a ogni costo la popolazione civile vessata dai soldati che taglieggiano la gente. Una contraddizione inestricabile. Quindi gli interventi del contingente – in Congo il più potente del mondo, quasi 20 mila militari – sono sporadici e rari. I caschi blu si limitano a “osservare” una situazione che si sta deteriorando sempre più.
Quei funzionari delle Nazioni Unite che, invece, interpretano il loro lavoro come una missione, venuti in Congo non per godere panorami e ambiente, ma per salvare vite umane e contribuire allo sviluppo della regione, sono demoralizzati e frustrati: “Disgustata è la parola giusta – spiega una giovane – . I soldati hanno razziato villaggi, stuprato donne e bambini sotto gli occhi dei caschi blu e nessuno ha denunciato la cosa. Sono tutti intenti a arraffare i propri stipendi e dilapidare, con una burocrazia inefficiente, i finanziamenti di una missione che costa decine di milioni di euro all’anno. No, io me ne vado. La mia coscienza mi impedisce di restare. Gli uomini sono riusciti a trasformare questo paradiso in un inferno. Qui regna una sola cosa: l’interesse personale. E a farne le spese è la popolazione civile che continua da decenni a soffrire”.
Massimo A. Alberizzi
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