Massimo A. Alberizzi
15 dicembre 2006
Aprile 1994. Il Ruanda รจ in preda ala follia collettiva. I suoi cittadini di etnia hutu, attizzati da bande armate di estremisti, gli hinterahamwe, sono scatenati contro i tutsi e gli hutu moderati. Civili armati di machete fanno a pezzi amici, compagni, conoscenti e persino coniugi, colpevoli solo di appartenere a un gruppo razziale differente. Alla mattanza partecipano anche parecchi preti, cattolici, protestanti, avventisti.
Eโ un genocidio che, prove alla mano, รจ stato preparato meticolosamente. Mentre i notabili del regime hutu al potere nei mesi precedenti avevano comprato armi, munizioni e perfino machete, dai microfoni di Radio Mille Coline, emittente legata al regime hutu, gli speaker, tra cui si distingue per la veemenza lโitalo-belga Giorgio Ruggiu (che si รจ dichiarato colpevole e condannato a 12 anni), non fanno altro che eccitare gli animi: ยซSchiacciate gli inyenzi (cioรจ gli scarafaggi), riempite le tombeยป.
LโOnu non si muove e al Palazzo di Vetro di New York vengono cestinati gli accorati appelli del generale canadese Romeo Dallaire, capo di un piccolo drappello di caschi blu di stanza a Kigali, che annuncia con settimane, se non mesi di anticipo, la preparazione del genocidio. In cento giorni vengono sterminati un milione di tutsi e hutu moderati. Unโecatombe.
Il mondo dei diplomatici assiste cinicamente immobile, e nel novembre successivo il Consiglio di Sicurezza decide di costituire ad Arusha, alle falde del Kilimangiaro, in Tanzania, un tribunale per i crimini commessi in Ruanda. Nelle maglie degli investigatori internazionali finisce anche padre Athanase, fino a prima di quellโaprile 1994 conosciuto come unโanima pia.
La trasformazione
“Ogni mattina allโalba โ mi racconteranno dieci anni dopo i suoi parrocchiani a Nyange vicino Kibuye, sul magnifico lago Kivu in Ruanda – scendeva nella sua chiesa, preparava i paramenti, li indossava in attesa dei fedeli per la messa. Distribuiva una parola buona per ciascuno, portava conforto alla sua gente oberata dalla fame e dalla povertร , non si lasciava sfuggire unโoccasione per aiutare i piรน indigenti. Poi la trasformazione da pio a demonio”.
L’agguato
Seromba, sostiene il capo dโaccusa firmato nel 2001 dallโallora procuratrice Carla del Ponte e dopo dal sostituto Silvana Arbia, assieme al borgomastro e allโispettore di polizia prepara e mette in pratica un piano, diabolico, per sterminare la popolazione tutsi della zona. Per incoraggiare i tutsi in fuga disperata nelle campagne a ripararsi nella parrocchia, il ministro di Dio li attrae in chiesa usando tutta la sua autoritร di religioso: promette protezione. Intere famiglie – certe che gli interahamwe (le milizie di criminali Hutu) rispetteranno il tempio, come giร accaduto durante i massacri degli anni precedenti – accettano lโospitalitร offerta dallโabate. Ma una volta dentro, scoprono di essere intrappolati.
L’orrore disumano
Nessuno dร loro acqua e cibo e padre Seromba respinge il denaro dei rifugiati per acquistare pane e frutta. Si rifiuta persino di celebrare la messa. Secondo lโatto dโaccusa del Tribunale dellโOnu il prete ordina ai gendarmi di sparare su quanti, calandosi dalle finestre, cercano di rubare frutti dal bananeto alle spalle della parrocchia. I bambini, in preda a febbre e dissenteria, piangono in continuazione.
Manca lโaria, 2 mila persone vivono nella disperazione in un luogo che puรฒ contenerne al massimo 1.500. Il 13 aprile matura il primo attacco: i miliziani estremisti circondano la chiesa, sparano raffiche di fucile sui civili inermi e tirano granate allโinterno. Nella confusione, tra urla e schizzi di sangue, qualcuno riesce a scappare, ma viene catturato.
Sterminio affidato ai bulldozer
I testimoni sentono il sacerdote ordinare ai soldati di chiudere tutte le porte e di giustiziare i trenta tutsi bloccati mentre tentano in fuga. Il 16 aprile โ sempre secondo lโaccusa – Seromba e le autoritร locali decidono per la soluzione finale.
Chiamano gli autisti di due bulldozer della societร italiana Astaldi, che sta costruendo la strada da Gitarama a Kibuye. Lโidea รจ micidiale: seppellire i rifugiati sotto le macerie del luogo sacro. “Gli hutu sono tanti. Questa chiesa verrร ricostruita in tre giorni”, sentenzia lโabate dando allโautista attonito lโordine di procedere.
Pochi minti prima un suo collega, che si era rifiutato di agire, era stato ammazzato con un colpo alla testa. Con movimenti coordinati le due macchine demoliscono i muri della chiesa, mentre la popolazione del villaggio, armata di machete e bastoni, circonda lโarea per attaccare chi cerca di fuggire. Dentro trovano la morte 2mila tutsi.
La fuga protetta
Ma sono loro a vincere la guerra nel giugno 1994 ed รจ Seromba a fuggire. Prima in Zaire (lโattuale Repubblica Democratica del Congo) poi in Italia. Quando giunge a Firenze, nellโestate del 1997, รจ raccomandato da una lettera del vescovo di Nyundo, che loda le sue doti di religioso semplice e devoto. Il prelato chiede alla diocesi fiorentina di dargli accoglienza per un certo periodo. Dice sรฌ che รจ un profugo, ma dello Zaire e che si chiama Anastasio Sumbabura. La Curia toscana gli trova un posticino nella parrocchia dellโImmacolata a Montughi.
Scovato dai giornalisti
Tutto sembra finire lรฌ. Invece lo scovano i giornalisti. Il governo italiano tergiversa, ma poi deve cedere alle pressioni della Del Ponte, che ottiene lโestradizione: รจ il febbraio 2002. Lโavvocato di Seromba, il beninese, Alfred Pognon uno dei fondatori di Avvocati Senza Frontiere, durante unโintervista al Corriere nel settembre del 2004 ad Arusha, mentre si celebra il processo appare tranquillo. ยซIl mio cliente รจ una vittima โ sostiene sicuro โ e il tribunale dellโOnu รจ politicizzato. Quei giudici vogliono condannare gli accusati per giustificare la loro esistenza e la loro burocrazia ignava che costa milioni di dollari. Attraverso Seromba intendono colpire la Chiesa e noi dobbiamo impedirlo. Dimostrerรฒ la sua innocenzaยป.
Ma le prove e le testimonianze sono schiaccianti e lui non riesce a farlo assolvere nonostante – sostengono sottovoce alla procura del tribunale – le pesanti pressioni del Vaticano sui magistrati.
massimo.alberizzi@gmail.com
@malberizzi
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