AFRICA

In aula il documento che scagiona i Ricci, i due italiani che rischiano l’ergastolo in Kenya

Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 5 aprile 2006
Colpo di scena al processo contro due italiani, Angelo Ricci, 70 anni di Foggia, e sua moglie Estella Duminga Furuli, 43 anni, calabrese di origine argentina, accusati di traffico di droga, 1,2 tonnellate per un valore di 70 milioni di euro. Il loro avvocato, John Khaminwa, ha presentato alla corte, attraverso il suo assistito, il documento che scagiona la coppia, già pubblicato nei giorni scorsi dal Corriere. Si tratta di una lettera scritta il 25 aprile 2005 da Oriri Onyango, il sostituto procuratore che in questo processo sta chiedendo la condanna dei Ricci (rischiano anche l’ergastolo). Onyango dichiara in sostanza che non ci sono prove contro i due italiani e nulla che possa collegarli «direttamente o indirettamente» all’ingente traffico.

LETTERA LETTA IN AULA
– Il giudice Aggrey Muchelule si è riservato di ammettere il documento agli atti del processo (la sua decisione sarà resa pubblica martedì mattina), ma la lettera è stata letta ad alta voce in aula e i giornalisti hanno avuto il tempo di ricopiarla. Oriri Onyango ora dovrà spiegare davanti all’opinione pubblica del suo Paese perché tiene in carcere da 14 mesi nelle fetide galere keniote due italiani che lui stesso giudica, e l’ha scritto a chiare lettere, “innocenti”. In corte Onyango e Khaminwa hanno battagliato a lungo a colpi di articoli del codice, mentre Marco Barberis, l’attento diplomatico incaricato dall’ambasciata italiana di seguire il caso, cercava di tradurre ad Angelo Ricci il serrato dibattito tra l’avvocato degli italiani, che insisteva perché il documento fosse acquisito agli atti, e l’accusatore, che balbettando perché sorpreso dalla mossa della difesa, prima ammetteva di aver scritto la lettera, poi chiedeva una perizia calligrafica sulla sua firma, suscitando l’ilarità perfino del giudice Muchelule.

LA VICENDA – I due Ricci, che si sono sempre dichiarati innocenti, sono stati arrestati il 14 dicembre 2004 quando, in una villa che loro avevano in gestione e affittato a un gruppo di olandesi, sono stati trovati 800 chili di cocaina. Gli inquilini della casa erano scappati poche ore prima e la coppia si era presentata spontaneamente alla polizia per sapere cos’era successo. In un altro raid a Nairobi, gli agenti avevano sequestrato altri 400 chili di droga. Pochi giorni prima l’antinarcotici olandese aveva inviato ai loro omologhi kenioti una nota dettagliata e precisa sulla presenza in Kenya di almeno tre tonnellate di polvere bianca, chiedendo un’azione “immediata” per sequestrare la partita di narcotici e arrestare i trafficanti. Ma gli agenti africani hanno impiegato sei giorni a intervenire, lasciando quindi ai veri registi del mastodontico affare tutto il tempo di scappare.

IL VIAGGIO IN OLANDA – Secondo un altro documento in nostro possesso, il 16 gennaio 2005 Onyango, senza l’autorizzazione dei sui capi diretti (con i quali non si cura di concordare alcunché) vola ad Amsterdam e prende contatto con la polizia olandese. Il viaggio viene permesso da un altro magistrato senza competenza sul caso, il Solicitor General, che si occupa di cause civili. Il procuratore torna alcuni giorni dopo e non produce nessun documento e nessuna memoria su quanto appreso in Europa. Cosa conteneva l’informativa degli investigatori olandesi? Cosa gli hanno spiegato una volta ad Amsterdam?

Ufficialmente nessuno lo sa e questa documentazione non compare agli atti del processo. Come non compare un’altra nota imbarazzante circolata all’interno della polizia dopo che il capo dei procuratori aveva ricevuto una lettera ufficiale, datata 6 aprile 2005, dall’ufficio delle Nazioni Unite per la Droga e il Crimine (UNODC, United Nation Office for Drugs and Crime) con la quale il rappresentante per l’Africa Orientale incaricato di indagare sui riciclaggi di denaro, Wayne Blackburn, offriva tutta la collaborazione possibile. Ufficialmente era stato risposto con cortesia e con diligenza, ma all’interno del gruppo di investigatori circolava un altro documento: “Non abbiano bisogno di alcuna collaborazione. Ce la facciamo da soli”. Infatti l’UNDOC era stata tenuta all’oscuro di tutto. Ora il procuratore Oriri Onyango dovrà rispondere anche di queste cose, se non in corte, almeno davanti all’opinione pubblica del suo Paese.
Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi
maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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