Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 9 marzo 2006
Il primo segretario (cioè il numero due) dell’ambasciata italiana in Eritrea, Ludovico Serra, è stato dichiarato “persona non grata” dal governo di Asmara e ha dovuto lasciare il Paese in 24 ore. Il diplomatico è già rientrato a Roma. Il motivo è chiaro: interferenze negli affari interni del Paese ospite. L’espulsione di Serra sembra essere il nuovo capitolo del braccio di ferro tra Italia e Eritrea, in cui finora Roma ha chinato sempre la testa.
IL PRECEDENTE DEL 2001
Nel 2001 fu espulso l’ambasciatore Antonio Bandini, reo di aver chiesto al governo di Asmara, a nome dell’Unione Europea di cui allora l’Italia aveva la presidenza locale, spiegazioni sull’arresto arbitrario di 11 ex ministri e dignitari del regime che avevano chiesto maggior rispetto dei diritti umani e libertà di stampa.
Nello scorso luglio il contingente dei nostri carabinieri ha preferito andarsene e abbandonare la missione dell’Onu (Unmee, United Nation Mission in Ethiopia and Eritrea) perché le autorità eritree li avevano messi in condizione di non operare.
Il colonnello Maurizio Esposito, comandante del nostro contingente, rientrato per ultimo in Italia il 21 luglio, aveva mostrato la «schiena dritta» inviando rapporti durissimi. “Basta con le umiliazioni – aveva scritto in sostanza, dopo che i suoi uomini erano stati persino sequestrati nel loro quartier generale e avevano ricevuto dalle autorità eritree il divieto di uscire -. Andiamocene”.
MISSIONE ANNULLATA
E così la Farnesina aveva deciso, in gran segreto, il ritiro. Primo caso della storia dell’Onu, un Paese aveva abbandonato una missione prima della fine del mandato. In gran segreto, perché il parlamento, tenuto all’oscuro, il 25 luglio successivo, aveva rinnovato l’incarico alla nostra missione fino al 31 dicembre 2005, stanziando 1.747.501 euro.
Nessuno si era accorto che era stato votato il finanziamento di una missione che, di fatto, non c’era più. Nonostante ciò gli aiuti al governo del dittatore Isayas Afeworki sono continuati e un ultimo gruppo di camion, è stato consegnato in ottobre con una cerimonia ufficiale cui avevano partecipato i funzionari della nostra ambasciata. A fine dicembre un altro dispetto. Le organizzazioni non governative italiane erano state allontanate dal Paese. Era stata cacciata perfino Mani Tese, storica agenzia che aveva aiutato tantissimo i ribelli durante la guerra di liberazione.
L’ULTIMO SCHIAFFO
Una decina di giorni fa un ultimo schiaffo agli italiani. La splendida villa di Massawa appartenente alla famiglia Melotti era stata occupata della guardia presidenziale di Isayas. Erano anni che il dittatore voleva impadronirsene. La villa, costruita dall’architetto Vietti negli anni ’60, è un magnifico esempio di architettura mediterranea sulle sponde del Mar Rosso con una piscina che entra nell’enorme salone e una vetrata lunga 12 metri dalla quale si può ammirare il sorgere del sole. Riccardo l’ultimo erede di una famiglia che aveva invaso tutta l’Africa con la sua Birra Melotti ha resistito per anni, fino al momento in cui Isayas, ormai famoso per i suoi metodi spicci, ha deciso di occupare militarmente l’abitazione.
L’ARRESTO
Sabato Ludovico Serra è andato a Massawa perché voleva controllare la situazione. E’ arrivato a Casa Melotti ma appena si è avvicinato al cancello è stato arrestato. A nulla è valso il protestare il suo status diplomatico. E’ stato messo agli arresti in una caserma di polizia dove ha passato tutta la domenica fino a lunedì mattina. Solo allora è stato liberato ma la sua auto, nonostante avesse targa diplomatica, è stata sequestrata.
IRRITAZIONE ITALIANA
Il diplomatico italiano, che tra l’altro era già stato destinato a Bruxelles, è dovuto rientrare in autobus ad Asmara. “Oltre che bastonato, umiliato» ha commentato un diplomatico straniero ad Asmara quando ha raccontato al Corriere quanto accaduto. Il governo aveva in un primo tempo offerto un indennizzo di 600 mila dollari per la casa che ne vale 2 milioni e mezzo. Poi ha deciso che nessun indennizzo era necessario per gli italiani. Il senatore Alfredo Mantica al telefono sembra irritato: «Rientra in un ciclo di rapporti un po’ complicati con questo Paese – ha commentato – . Abbiamo protestato ed espulso il numero due dell’ambasciata eritrea in Italia ma vedremo di prendere altri provvedimenti”.
GOVERNO E DITTATURA
Il governo italiano è conscio del carattere dittatoriale del governo eritreo ma teme che un suo isolamento sul piano internazionale possa accentuare ancora di più il suo sistema repressivo. La rigida dittatura Eritrea vive con l’ossessione delle spie e la sindrome del complotto. Così si spiega l’atteggiamento rude, irrispettoso e insolente nei confronti degli italiani e degli occidentali in generale.
PAESE MILITARIZZATO
Il Presidente Isayas Afeworki ha militarizzato il Paese, dove ora comandano pochi generali, la polizia politica e, come ai tempi di Stalin, l’omnipresente partito unico (che si chiama ancora, con linguaggio bellicoso, Fronte Popolare per la Democrazia e la Giustizia). I programmi della televisione si aprono con marcette militari e i cantanti possono esibirsi solo in canzoni patriottiche. Naturalmente accanto devono tenere in bell’evidenza il mitra.
PRIGIONIERI POLITICI
Dall’indipendenza, ottenuta di fatto nel 1991 e sancita da un referendum nel 1993, il Paese non ha mai varato una Costituzione e non presenta il bilancio dello Stato, la libertà di stampa è sconosciuta. Ormai in Eritrea tutto è arbitrario. La galere sono piene di prigionieri politici, a cominciare da una quindicina di ministri e alti funzionari dello stato, tra cui il numero 2 del regime, Petros Solomon, ingoiati da qualche parte il 18 settembre 2001: Amnesty International e la Croce Rossa Internazionale più volte hanno chiesto di avere notizie sulla loro sorte. Nulla.
CHIUSURA INTERNAZIONALE
Le strutture di pace dell’Onu vengono in continuazione umiliate ma non mostrano alcuna reazione. In aprile 2005, 36 auto appartenenti all’organizzazione incaricata dello sminamento, il Mine Action Capacity Building Programme, sono state confiscate dal governo. «Sono qui per lavorare per noi; e noi ce le prendiamo, è stata la giustificazione.
Le proteste dell’Onu sono state deboli e di maniera. Anzi nel frattempo l’infrastruttura stessa del programma è stata gradatamente smantellata da parte dell’Undp che la stava gestendo. All’Onu poi stato poi impedito di usare elicotteri e aerei. Così un casco blu è morto perché, ferito in un incidente stradale, gli è stato cinicamente negato il trasferimento rapido in ospedale. Infine l’ultimo affronto alle Nazioni Unite il 5 dicembre scorso: entro 10 giorni i cittadini dell’Unione Europea, degli Stati Uniti, di Russia e Canada, impegnati nella missione Unmee hanno dovuto lasciare il Paese, anche loro persone non grate.
Dal quel giorno i caschi blu non sono più stati in grado di monitorare il confine tra Etiopia e Eritrea. I rischi di guerra tra i due “nemici” si sono così moltiplicati. Una sentenza internazionale ha condannato l’Etiopia a restituire una fetta di territorio all’Eritrea, ma le truppe di Addis Abeba non si sono ritirate. Da qui l’intransigenza di Asmara che si è dotata di un esercito di 300 mila soldati, dotato di oltre 100 carri armati bulgari T-55, e ha inasprito nel contempo la repressione all’interno del Paese.
Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi
Nella foto Villa Melotti
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