Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Khartoum, 15 agosto 2005
L’attacco è giunto improvviso alle 10 e mezzo di venerdì sera. Un commando di miliziani è penetrato nel campo profughi di Gatumba, in Burundi, abitato da congolesi di etnia tutsi e, a colpi di fucile, di granate e di machete, ha barbaramente massacrato 159 rifugiati, soprattutto donne e bambini.
L’operazione è durata pochi minuti e, dalle prime testimonianze raccolte dalle agenzie non governative, è stata preparata e organizzata meticolosamente. Il campo profughi è situato sulla strada che, costeggiando il lato settentrionale del lago Tanganika, porta da Bujumbura, la capitale del Burundi, a Uvira, città della Repubblica Democratica del Congo, capoluogo dell’importante e contestata regione del Sud Kivu.
Ufficialmente è abitato da 1.767 tutsi congolesi, della tribù banyamulenghe, appunto, arrivati da pochi mesi: ma molti uomini sono partiti da tempo per cercare lavoro nella capitale. Nel campo venerdì dormivano 823 persone. I primi soccorsi ai sopravvissuti sono stati portati dai volontari di un’organizzazione italiana, il GVC di Bologna.
Ieri, raggiunti al telefono, erano sotto shock per quanto avevano visto al mattino: “C’erano cadaveri dappertutto – ricorda Francesca Contu, una lunga esperienza di volontaria in Somalia e in Ruanda -. Parecchie tende erano bruciate, dentro i corpi carbonizzati. Le vittime devono essere state sorprese nel sonno; una mattanza a sangue freddo. C’erano tanti bambini, alcuni ancora attaccati alle spalle delle madri. Molti sono stati uccisi sotto le coperte”.
“Pochi sono stati in grado di fuggire, ma devono essere stati freddati dagli ssalitori all’uscita del campo dagli assalitori a colpi di fucile – continua la collega Alexandra Poder. “Hanno sparato all’impazzata. Il campo è ancora ricoperto da un tappeto di bossoli e di proiettili”. I volontari del GVC conoscono bene il campo di Gatumba: civili in fuga dal loro Paese dove rischiavano di essere ammazzati. Invece, quando credevano d’aver raggiunto la sicurezza sono stati sterminati con metodo.
Secondo il portavoce dell’esercito burundese, Adolphe Manirakiza, contattato al telefono da Africa ExPress, gli assalitori fanno parte di un’ alleanza di estremisti hutu venuti dalla vicinissima Repubblica Democratica del Congo: “E’ la prima azione di una coalizione formata da burundesi del FNL (Forze Nazionali di Liberazione, guidate da Agathon Rwasa), da ruandesi hinterahamwe (gli squadroni della morte corresponsabili del genocidio dei tutsi del 1994), da congolesi mai mai (milizie tribali che praticano la magia nera). Abbiamo trovato documenti che provano la nascita di questa intesa il cui obiettivo è di sterminare i tutsi che abitano nella regione dei Grandi Laghi, dall’Uganda, a nord, al Burundi, a sud. Vorremmo che la comunità internazionale intervenisse perché ancora una volta si sta tentando il genocidio dei tutsi”.
Caschi Blu dell’Onu sono presenti in Congo-K (la missione si chiama MONUC) e in Burundi (ONUB). Secondo le testimonianze raccolte tra i sopravvissuti dai volontari del Gvc, un primo commando, probabilmente dell’FNL, ha attaccato una caserma militare burundese vicino al campo profughi. I soldati erano impegnati a difendersi quando un altro gruppo, probabilmente mai mai, ha assalito la tendopoli dei rifugiati. Il Burundi, come il Ruanda, è stato per anni scosso da una guerra civile che ha visto contrapporsi la minoranza tutsi, tradizionalmente al potere, e la maggioranza hutu. Finalmente nell’aprile del 2003, dopo la firma di un accordo di pace propiziato da Nelson Mandela, Domitien Ndayizeye, un hutu, è stato nominato presidente di un governo di transizione. Ma un gruppo di oltranzisti hutu, riuniti attorno all’FNL, ha deciso di continuare la lotta armata, “fino allo sterminio totale dei tutsi”. Le truppe Onu, nonostante in Burundi siano stati dispiegati 2.561 soldati, sembrano incapaci di fermare le violenze.
Massimo A. Alberizzi
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