SUDAN

L’ONU ordina al Sudan: fermate i janjaweed o saranno sanzioni

Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Khartoum, 25 luglio 2004

Il governo sudanese si sente offeso e rigetta la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. “Abbiamo fatto e stiamo facendo tutto quanto è possibile per disarmare i janjaweed – spiega Daffi Khateeb, segretario generale del ministero dell’informazione sudanese -. Abbiamo messo 12 dei loro leader in prigione e inviato in Darfur 3.500 poliziotti. Nei prossimi giorni diventeranno cinquemila. La colpa della crisi umanitaria è dei ribelli, che non vogliono partecipare ai colloqui di pace”:

“Un’offesa, questa crisi
Non si risolve così”

Il commento generale del governo dell’opposizione e della società civile è stato comunque unanime:”Le risoluzioni non risolvono la gravissima crisi umanitaria che sta devastando il Darfur”.

Nessuno nega più la catastrofe, né le violenze, ma come ammonisce l’avvocatto Ghazi Suleiman, presidente del Gruppo Sudanese per la Difesa dei Diritti Umani, “bisogna andare alla radice del problema per poterlo risolvere”.

“Il Darfur – spiega Ghazi – è stato scelto come campo di battaglia dagli integralisti islamici. Da una parte i governativi, guidati dal presidente Omar Al Bashir, dall’altra i ribelli, vicini al padre padrone del fondamentalismo sudanese, Hassan Al Turabi. Non dobbiamo dimenticare che la popolazione del Darfur è stata la spina dorsale del NIF (National Islamic Front), il partito religioso che dal 1989, con un colpo di Stato, ha cancellato la democrazia in Sudan. Quando il NIF si è spezzato in due fazioni, le tribù del Darfur si sono schierate e divise”.

Critiche anche le organizzazioni umanitarie:
“Questa è una resa dei conti tra islamici”

“I janjaweed – continua Ghazi – I miliziani a cavallo che compiono scorrerie nei villaggi ammazzando gli abitanti e bruciando le capanne, sono da una parte e dall’altra. I ribelli attaccano le popolazioni alleate al governo e viceversa. Tutti compito atrocità laggiù, non solo i governativi. E noi laici e difensori dei diritti umani non possiamo schierarci”.

Ghazi attacca soprattutto i guerriglieri del JEM (Justice and Equality Movement) uno dei due gruppi ribelli: “I suoi leader vengono dei maghi della fazione di Turabi, ministri, generali funzionari e capi della sua sicurezza. Il loro obbiettivo è far cadere il governo di Bashir. La guerra del Darfur è una resa dei conti tra islamici”.

 

Alfred Taban è il direttore del quotidiano in inglese Khartoum Monitor. Finito in carcere una decina di volte, non è tenero con il governo. Eppure si schiera anche lui contro le minacciate sanzioni: “Non è questione di buoni o cattivi. Se si inaspriscono gli animi con azioni sbagliate, si rischia di peggiorare la situazione. Occorre obbligare le due parti a sedersi al tavolo dei negoziati e ora sono i ribelli a rifiutare il dialogo. Sanno di godere della simpatia internazionale e alzano il prezzo”.

Secondo Taban il governo non puoi disarmare i janjaweed, come chiedono gli Stati Uniti, pena la sua caduta: “L’esercito regolare è composto per un buon 40 per cento da darfuriani che simpatizzano con i guerriglieri. Se i miliziani a cavallo fossero smobilitati, tutta la regione cadrebbe immediatamente nelle mani dei ribelli e a Khartum il regime ne resterebbe travolto”.

Nella capitale sudanese è arrivato Gino Strada, il fondatore di Emergency, che, dopo una visita di ispezione nella regione in guerra, sta per riabilitare il blocco operatorio dell’ospedale di El Fasher, il capoluogo del Darfur settentrionale.

“Non mi pare che le sanzioni abbiano mai fermato guerre e conflitti – spiega Strada – e la crisi sudanese non si risolve minacciando interventi militari. Le parti vanno spinte al tavolo dei negoziati, favorendo una tregua umanitaria. Lo so che non è semplice, ma occorre tappare la bocca a quanti, da tutte le parti, soffiano sul fuoco. Non si può affrontare il problema dividendo i protagonisti in buoni e cattivi”.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi

maxalb

Corrispondente dall'Africa, dove ho visitato quasi tutti i Paesi

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