Massimo A. Alberizzi
Milano, 9 luglio 2002
Dopo il perdono del presidente americano Bill Clinton, che poche ore prima di lasciare definitivamente la Casa Bianca, l’aveva graziato cancellando un mandato di cattura, Marc Rich (il cui vero nome è Marcell David Reich), il miliardario in odore di mafia (nato in Belgio, naturalizzato americano con passaporto spagnolo, boliviano e israeliano), non riesce proprio a rifarsi una reputazione. Ogni volta che viene arrestato un presunto boss internazionale, salta fuori qualche documento compromettente.
Così anche tra le carte di Leonid Minin, l’israeliano nato in Ucraina 54 anni fa, detenuto nel carcere di Vigevano in attesa di essere processato per traffico d’armi, sono spuntati due pagamenti a favore del magnate amico dell’ex presidente USA. Il primo, di 3.767,36 dollari è del 9 novembre 1993, e viene effettuato dalla Galaxy Managment SA di Ginevra, una delle società di Minin, alla Marc Rich & co. Ha una precisa referenza: “Motonave Sea Panther Tr1030”. Il secondo, datato 6 agosto 1999, di 10.263,02 dollari è stato spedito dalla Limad, un’altra società di Minin, di Zug, in Svizzera, direttamente all’illustre graziato.
Che Minin e Rich avessero stretti rapporti è stato scoperto dagli agenti inglesi della National Criminal Intelligence Service: all’inizio degli anni ‘90 i due uomini hanno addirittura diviso lo stesso recapito telefonico dei loro uffici in Inghilterra. In realtà il numero (0044-171-9354455) era intestato alla Galaxy e usato dalla Glencore che allora apparteneva a Rich. I due si incontravano spesso anche a Zug dove entrambi avevano la loro base.
Rich era dovuto scappare in Svizzera dopo che Rudolph Giuliani l’aveva incriminato per estorsione e falso: uomo di pochi scrupoli, l’ex belga aveva comprato petrolio iraniano durante la crisi degli ostaggi dell’ambasciata americana di Teheran e violato l’embargo imposto al regime sudafricano dell’aparthaid. Inoltre aveva evaso tasse per milioni di dollari. Aveva rinunciato alla cittadinanza americana e aveva tenuto quella spagnola e israeliana.
Ma il rapporto degli inglesi collega Minin anche ad un altro boss di origine ex sovietica Alexander Zhukov, il cui processo per traffico d’armi comincerà a Torino il 29 ottobre prossimo. Zhukov, a differenza di Minin che ha vista la sua richiesta di arresti domiciliari respinta, ha ottenuto la libertà provvisoria. I due uomini secondo una lettera erano soci in alcuni affari (vendita di petrolio a Odessa) che vedevano coinvolta la Sintez Oil di Zhukov e la Limad di Minin.
Il processo contro Minin, che comincerà il 2 ottobre prossimo, si annuncia carico di sorprese. Gli inquirenti stanno mettendo assieme un puzzle complicato e difficile ma che rivela particolari inquietanti su un mondo di business miliardari dai contorni poco chiari.
Leonid Minin è nato a Odessa il 14 dicembre 1947 ma allora il suo vero nome era Leonid Efiomov Bluvshtein. Nel 1972 lascia l’Unione Sovietica con un visto di emigrazione senza ritorno, cioè rinunciando alla cittadinanza dell’Urss, e si trasferisce in Germania Occidentale, dove ottiene un passaporto.
Con la caduta del Muro di Berlino riallaccia le sue relazioni con l’Ucraina che visita più volte. Si serve di un passaporto di servizio israeliano. Sostiene un funzionario del ministero degli esteri di Kiev: “Con quel passaporto pensavamo che lavorasse per lo stato ebraico”.
Invece secondo un rapporto dell’Interpol entra nella mafia del petrolio ucraina e presto ne diventa uno dei principali boss. Il 27 aprile 1999 gli viene vietato l’ingresso in Ucraina per 5 anni. Motivo: coinvolgimento in gruppi criminali internazionali.
Minin gode con tutta probabilità di protezioni insospettabili e si sente sicuro. Le polizie di mezza Europa lo accusano di riciclaggio di denaro sporco, comunque lui riesce a evitare tutti i processi. Ma che non sia del tutto immacolato lo dimostrano i provvedimenti di Francia, Germania e Svizzera dove viene dichiarato persona non grata.
Sceglie per questo l’Italia come suo domicilio e da qui manovra i suoi affari. Non immagina neppure il 4 agosto 2000 che il compenso non pagato a una prostituta sta per costargli caro. Infatti grazie alla soffiata di quella signorina gli agenti irrompono nella stanza 341 trasformata in alcova.
Al momento delle manette, almeno ufficialmente, nessuno sospetta di aver messo le mani sul “leader della mafia ucraina in Italia”, come sostiene un rapporto dello Sco, il Servizio Centrale Operativo della polizia che lo teneva d’occhio dal 1992 perché sospettato di riciclaggio di denaro sporco, traffico di droga, di armi e di arte, estorsione ed altri crimini.
Ma, quella notte, assieme ai pochi grammi di cocaina gli agenti sequestrano diamanti e pietre preziose per 500 mila euro, e l’equivalente di 35 mila euro in dollari, lire, valuta ungherese e delle isole Mauritius. Ma l’attenzione del sostituto procuratore di Monza Walter Mapelli, incaricato dell’indagine, viene attratta da due borse contenenti una copiosa documentazione: 1500 pagine di documenti in russo, inglese, italiano, francese, tedesco, ucraino e olandese relativi ai vari tipi di business che Minin aveva messo in piedi. Tra i depliant di cannoni, carri armati, missili, mitra, bombe, e quant’altro del genere, vengono fuori due forniture d’armi alla Liberia e, secondo l’accusa, ai ribelli della Sierra Leone, quelli famosi per tagliare mani e gambe ai nemici e per stuprarne le mogli, le madri e le sorelle.
Massimo A. Alberizzi
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Il 26 giugno 2013 Marc Rich è morto d’infarto a Lucerna, in Svizzera. La rivista Forbes l’ha definito “one of the most famous white collar criminals in recent memory”.
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