Massimo A. Alberizzi
Asmara, 27 maggio 2000
La notizia piomba all’ improvviso a metà pomeriggio e si diffonde in un attimo: le truppe etiopiche hanno conquistato Senafe, a una ventina di chilometri a nord del confine, e si stanno avvicinando all’ Asmara. La città è stata catturata assieme a Forte (la vecchia Forte Cadorna) e Tsorena. La gente in strada affretta il passo, le facce si rabbuiano. Alla casa degli italiani c’ è una riunione d’ emergenza con i connazionali (programmata da tempo, per altro) dove l’ ambasciatore Antonio Bandini rassicura gli animi.
Il nervosismo si impadronisce ugualmente della capitale. Il tassista Ghilè, interrompe il giornale radio: «Devo filare a casa – implora agitato -. Se gli etiopi arrivano devo correre a imbracciare le armi». E dire che una decina di minuti prima Ghilè scherzava sul fatto che, avendo i capelli brizzolati, non era stato richiamato alle armi e mandato al fronte.
Poco dopo, un altro annuncio: la popolazione è stata evacuata da Adikaie, un villaggio a nord di Senafe. In realtà anche Senafe era stata abbandonata. Gli eritrei avevano pensato che fosse meglio ritirarsi a nord, su posizioni facilmente difendibili. I soldati di Addis Abeba sono dunque penetrati ancor di più in territorio nemico, nonostante la decisione eritrea di ritirarsi da tutte le zone occupate nel maggio 1998.
Zalambessa è stata lasciata giovedì e ieri è stato promesso il ripiegamento da altre due zone contese, Bada, in Dancalia, e Bure, sotto Assab. «Continueremo a combattere finché i soldati eritrei calpesteranno il suolo etiopico», aveva annunciato Addis Abeba. E così è stato.
In realtà non sembra che il ritiro da Zalambessa sia avvenuto spontaneamente. E’ stato, per così dire, provocato da una forte pressione militare e da un bombardamento a tappeto che ha fiaccato la resistenza degli eritrei. Si attende per oggi il ritiro da Bada e Bure, una mossa che toglierebbe agli etiopi ogni scusa per continuare la loro campagna.
Ieri il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika, presidente di turno dell Oua, l’ Organizzazione per l’ Unità africana, lasciando Asmara per ritornare ad Addis Abeba, ha annunciato che i colloqui di pace tra i due Paesi in guerra riprenderanno lunedì ad Algeri. Bouteflika sembra ottimista, anche se ormai in questa vicenda la soluzione è apparsa spesso a portata di mano e si è poi dissolta rapidamente.
I combattimenti di questi giorni sul fronte centrale hanno fatto decine di morti e feriti. Yemane Gebremeskel, portavoce del governo di Asmara, ha detto che gli etiopi annientati sono stati 30 mila; ma anche le perdite eritree devono essere state terribili. Ogni notte la strade di Asmara sono attraversate da camion militari carichi di uomini con i corpi lacerati. «Qui ne riceviamo da 700 a 1000 ogni notte – dice un infermiere dell’ ospedale Halibet, il più grande della città -. Restano solo qualche ora, il tempo di essere operati. Poi li portano via».
All’ospedale Halibet ieri mattina è arrivato un team di chirurghi dell’ organizzazione italiana Emergency, guidati da Gino Strada. «Alle 8 ho varcato il cancello – racconta Strada, uscendo dalla sala operatoria con il camice verde inzuppato di sangue – e mi è venuto incontro il ministro della sanità. Si è presentato stringendomi la mano, mi ha indicato lo spogliatoio e mi ha quasi implorato: “Dottore, cominci subito”. Ho cominciato immediatamente, uno via l’ altro, uno via l’ altro. Sto operando da dieci ore e non ho staccato un minuto».
Nelle corsie e nei corridoi i feriti sono dappertutto. Alcuni urlano dal dolore, altri si lamentano. Sono soldati, soprattutto, ma anche civili, donne e bambini, colpiti da bombe o schegge.
Su una barella, immobile, giace un militare. Sembra morto: «No – assicura un infermiere eritreo -. Ha una decina di ferite, la più grave alla testa, ma è ancora vivo». Borbotta Francesco, il caposala italiano: «Sono stato in mezzo a tante guerre, perfino in Somalia, ma non ho mai visto una carneficina così». Con la presa di Senafe, secondo gli ambienti diplomatici di Asmara, dovrebbe esaurirsi la vittoriosa campagna militare etiopica. Ora la parola dovrebbe passare alle negoziazioni e si spera che i leader dei due Paesi si mostrino più flessibili e più lungimiranti di quanto lo siano stati finora. In Eritrea si parla già di un rinnovamento ai vertici del Paese.
Massimo A. Alberizzi
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