Speciale per Africa ExPress
Massimo A. Alberizzi
3 marzo 1999
Gli estremisti hutu, responsabili nel 1994 del genocidio di 800 mila tutsi e hutu moderati in Ruanda, hanno messo mano di nuovo alla loro arma preferita, il machete. Ieri otto turisti occidentali (4 britannici, 2 americani e 2 neozelandesi), rapiti nel parco di Bwindi in Uganda, sono stati mutilati e massacrati con i lunghi coltellacci. Si trattava di quattro uomini e quattro donne: una di esse, prima di essere uccisa, è stata violentata.
“Quella che si è presentata alle squadre di soccorso – racconta il quotidiano Monitor di Kampala – è stata una scena raccapricciante: mani, braccia, gambe sparse dappertutto”. Gli hutu, i residui delle milizie estremiste interahamwe e dell’esercito ruandese, provenienti dalle loro basi in Congo, hanno assalito il campo di Bwindi all’alba di lunedì catturando 31 turisti, tra cui la numero due dell’ambasciata francese Anne Peltier e le sue due figlie. Gli ostaggi dapprima vengono spogliati.
“Un’ora dopo – racconta la diplomatica – ci ordinano di infilare le scarpe. Vogliono portarci via. Chiedo di vedere il capo. Ci parliamo in francese e gli spiego che la sua azione non serve a niente, che è meglio che ci lasci andare. Non ho negoziato, ma alla fine lui decide di liberare più di metà degli ostaggi, comprese molte donne e le mie bambine”.
I ribelli trattengono gli americani e i britannici, uomini e donne, più i neozelandesi. Gli hutu considerano statunitensi e inglesi acerrimi nemici. Li accusano di aver aiutato i tutsi, etnia rivale, a impadronirsi del potere in Ruanda nel 1994 e oggi di sostenere i ruandesi e gli ugandesi nella guerra contro il regime di Laurent Kabila, presidente della Repubblica Democratica del Congo. Il commando quindi scappa, probabilmente per raggiungere il Congo da cui era venuto, con quattordici ostaggi. Ma l’esercito ugandese è già all’inseguimento.
Scoppia una battaglia. I ribelli, forse perché circondati, forse per vendetta, trucidano gli otto turisti utilizzando quei metodi raccapriccianti che li hanno resi famosi nel 1994, quando massacravano indistintamente uomini, vecchi inermi, donne incinte, ragazzini e bimbi in fasce: li fanno a pezzi con i machete. Sei, invece, vengono liberati dai soldati o nel caos riescono a fuggire. Questa versione è accreditata anche dall’ambasciatore inglese a Kampala Michael Cook. Qualcuno nella capitale sospetta invece che gli stranieri potrebbero essere rimasti colpiti durante la battaglia. Negli ambienti diplomatici di Kampala l’ipotesi che circola con più insistenza è quella di un’operazione terroristica commissionata da Kabila, il presidente della Repubblica Democratica del Congo. Le truppe ugandesi e ruandesi sono impegnate in Congo a sostegno dei ribelli che combattono il regime al potere a Kinshasa e in agosto, quando era scoppiata la rivolta, Kabila aveva annunciato rabbioso: “Porteremo la guerra a Kampala e a Kigali”.
Quindi aveva immediatamente invitato a Kinshasa i capi dei ribelli ruandesi hutu e di quelli ugandesi e li aveva riforniti di armi. L’ azione di ieri – è l’ipotesi dei diplomatici a Kampala – va inquadrata in questo piano. I guerriglieri sapevano che nel campo di Bwindi avrebbero trovato turisti bianchi e i loro mandanti intendevano screditare il governo ugandese (che si vanta di guidare un Paese stabile e in via di sviluppo) e portare un colpo al cuore al turismo del Paese nemico, fonte di cospicue entrate in valuta pregiata. Kabila ha combattuto contro le truppe hutu ruandesi, alleate del presidente Mobutu Sese Seko, nel 1996 – 1997 durante la sua trionfale avanzata alla conquista di Kinshasa. Aveva avuto ampie responsabilità nei massacri di civili hutu rifugiati nel Congo, l’allora Zaire.
Ma a quel tempo i suoi protettori erano quei ruandesi e ugandesi oggi suoi nemici. I ribelli non erano finora mai riusciti a entrare in Uganda. Le loro azioni si erano limitate al confine e nell’agosto scorso quattro turisti erano stati sequestrati (uno rilasciato, tre sono ancora prigionieri). Bwingi è per i visitatori la base di partenza per le escursioni nella cosiddetta Foresta Impenetrabile, dove vivono quasi 300 esemplari di gorilla di montagna, i primati con i comportamenti più simili all’uomo. Quadrumani della stessa famiglia sono presenti anche sui versanti ruandese e congolese dello stesso massiccio montuoso, ma a causa della guerra lì il turismo non è praticabile.
Fino a ieri la vacanza a Bwindi era richiestissima e per andarci occorreva prenotare un anno prima. L’escursione per vedere i gorilla costa (guida compresa) dai 120 ai 250 dollari (dalle 200 alle 400 mila lire circa), una cifra notevole per il governo ugandese che ne incassa una cospicua parte. Tre settimane fa il presidente del Wwf Italia, Fulco Pratesi, aveva visitato il parco ugandese e aveva partecipato alla cerimonia di gemellaggio con il Parco Nazionale d’Abruzzo. “Tutto era tranquillo, non c’erano guardie armate o particolari misure di sicurezza”, racconta Pratesi. Durante la sua visita era stato lanciato un logo comune alle due oasi: un gorilla di montagna seduto di fronte a un orso marsicano.
Massimo A. Alberizzi
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