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Sudan: un Paese nel baratro

Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Karthoum, 10 settembre 1998

“Lei che viene dall’Europa avrà sicuramente qualche birra in quella valigia. Invece di pagarmi la corsa, me ne regala una?”. Il tassista non ha ritegno, si chiama Mohammed, dal nome del profeta… “Si, sono musulmano”, spiega, “prego 5 volte al giorno, ma questo non c’entra niente col taglio della mano, la proibizione di bere alcol, l’islamizzazione forzata. Il Corano è tolleranza, pace, fratellanza, emancipazione sociale. Questo regime al potere qui a Khartoum lo interpreta in modo diverso e picchia duro. Lo fa solo per mantenere la gente nell’ignoranza e conservare il potere”. Mohammed ha 63 anni e si esprime con un ottimo inglese. Ha studiato in una scuola di comboniani, ai tempi del colonialismo. Come lui, la pensano tanti altri nella capitale sudanese.

Nel nostro Paese – dice sottovoce Osman, uno dei leader del movimento studentesco che ha organizzato dimostrazioni antigovernative all’Università di Khartoum (un morto, ucciso dalla polizia) – negli anni ’50 e ’60 s’era sviluppato il più grosso Partito comunista africano. La cultura laica e liberale è stata la base della crescita di una forte borghesia. Come può oggi la società accettare un ritorno alla sharia?”.

Osman teme gli agenti: “La sicurezza ha occhi ovunque, se mi vedono con un giornalista occidentale, mi sbattono in galera”. Ma tu preghi 5 volte al giorno? Scoppia una grossa risata. “Ci mancherebbe altro, però talvolta sono costretto a farlo. Vado in moschea perché controllino che sia un buon musulmano. Qui è tutto così. Anche chi si dichiara favorevole a un’applicazione più rigida della legge coranica, poi in privato la viola regolarmente”.

Un’affermazione grave, ma vera. Alla fine degli anni ’80 un colonnello della polizia, fustigatore di costumi (di giorno era così spregiudicato da cacciare in galera chi veniva colto a bere alcol), la sera si presentava di nascosto in camera mia all’Hilton, “for a little scotch“.

La legge islamica, basata sulle norme del Corano, viene imposta in Sudan alla fine degli anni ’70 dal dittatore Gafaar Nymeiri. Nymeiri, salito al potere nel ’69, aveva portato il Paese sulla strada di un vago socialismo, comunque rigorosamente laico. A metà percorso si era però “convertito” (forse temeva di fare la fine dello scià di Persia) e aveva chiamato i Fratelli Musulmani (una sorta di massoneria islamica, molto influente in Sudan) al potere.

Introdusse la sharia e chiuse la fabbrica di birra a Khartoum. Alleandosi con gli islamisti pensò di averla fatta franca e di aver allontanato il pericolo di un golpe e invece, nel 1985, un colpo di Stato ispirato dai Fratelli Musulmani lo depose.

I nuovi leader, convinti di godere della fiducia della maggioranza della popolazione, giocano la carta della democrazia. Nel 1986 il Fronte Nazionale Islamico perde invece clamorosamente le elezioni. Si afferma l’Umma party (Umma, in arabo, vuol dire madre) e il suo leader, Sadiq Al Mahadi, diventa Primo ministro. Questa volta è Sadiq a dover fare i conti con gli integralisti. Il suo primo impegno è chiudere la devastante guerra civile con il sud cristiano-animista. Ma i Fratelli Musulmani (guidati dal cognato del premier, Hassan Abdalla Al Turabi) si oppongono. Sadiq, tra il fuoco dei laici che sostengono il negoziato e quello degli integralisti fautori della guerra a oltranza, viene impallinato.

Il 30 giugno ’89 un colpo di Stato taglia le gambe alla giovane democrazia. Lo organizza, ancora una volta, Al Turabi che resta, come sempre, nell’ombra. Il nuovo presidente, Omar Al Bashir; dichiara di voler continuare la guerra con il sud fino alla totale sconfitta del nemico e ordina che la sharia sia applicata con maggiore severità. Comincia l’islamizzazione forzata delle popolazioni cristiano-animiste.

La fame – spiega un funzionario dell’Onu – è stata usata come un’arma. Il conflitto ha provocato cicliche carestie e la gente del sud ha continuato a soffrire. Il numero di persone morte in combattimento è di molto inferiore a quello dei civili uccisi dagli stenti”.

Lo scorso luglio il regime non s’è vergognato a utilizzare la fame come un’arma contro il suo popolo – racconta Bona Malwal, strenuo oppositore del regime e direttore ai tempi della democrazia del quotidiano filosudista Sudan Times -. Con una pubblica cerimonia nella Grande Moschea di Khartoum, 1600 vittime della carestia sono state convertite all’islam. Era presente tutta l’attuale leadership sudanese, che s’è vantata con i Paesi arabi di aver organizzato il più alto numero di conversioni in un sol giorno in tutto il mondo musulmano. La maggior parte di essi era arrivata a Khartoum dal sud, per sfuggire alla fame e alla guerra. Nei campi profughi il cibo veniva consegnato solo ai musulmani. Ecco come si spiegano certi cambiamenti di fede”.

Ma chi incontra Hassan Al Turabi non pensa a un fanatico. La barba bianca cortissima, ben curata, s’intona con il turbante e la jallabia (il camicione tipico sudanese) perfettamente stirata e le babbucce candide. Ciò che viene descritto come un violento antiamericano si limita a poche battute, anche se dense di disprezzo, sulla mancanza di cultura di quel popolo.

Hassan Al Turabi con Massimo Alberizzi durante un’intervista tre anni fa

Quando parla in una delle cinque lingue di cui è padrone, porta il discorso sulla Rivoluzione francese, sulla letteratura latina, sulla ricerca scientifica avanzata, sul ruolo delle religioni nel mondo, sull’importanza della parità tra uomo e donna e si tiene accuratamente lontano dai discorsi fondamentalisti. Un uomo decisamente affascinante, dai modi eleganti e raffinati, con cui si starebbe a chiacchierare per ore e ore.

“Mi dipingono come il diavolo, ma non sono il diavolo. E non sono vere le accuse rivolte al Sudan di aver coperto o addirittura aiutato il terrorismo”, spiega durante una pausa dei lavori del Parlamento di cui è presidente. “Gli americani non ci possono vedere perché non prendiamo ordini da loro. Il nostro è un paese islamico, ma non odiamo i cristiani. Anzi la sharia non si applica a loro”, mente poi spudoratamente. La legge coranica, si badi bene, non consiste solo nel divieto (tutto sommato innocente) di bere alcol, ma in altre regole socialmente più rilevanti: favorire nei posti di lavoro il credente islamico o impedire a una donna di assumere incarichi di alto livello..

I borghesi e gli intellettuali di Khartum lo odiano. Secondo Abdalla, un ingegnere vissuto una decina d’anni a Londra, “lui usa l’Islam per proprio tornaconto e mantenere intatto il suo potere. Nessuno in questo Paese è riuscito a limitare l’influenza dei Fratelli Musulmani. La loro è una sorta di mafia: vuoi un posto di lavoro? Iscriviti alla setta. Cerchi una casa? Altrettanto. Ecco perché quest’esplosione di Islam non è una cosa seria”.

Il regime comunque sembra ben saldo. Le buone amicizie nel mondo islamico non gli mancano e il conflitto nel sud, che pare destinato a durare all’infinito, non lo impensierisce più di tanto. I nemici esterni, Etiopia, Eritrea, Uganda e Congo Democratico, sono impegnati a farsi la guerra a vicenda. Che sia Islam di convenienza o di convinzione è difficile stabilirlo. Quello che è certo è che le conversioni più o meno forzate aumenteranno.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com

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Ricardo Girola

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