Massimo A. Alberizzi
Kigali, 10 agosto 1994
Alfonsine ha 18 anni. Aveva lasciato un campo profughi al confine con la Tanzania e assieme alla sua numerosa famiglia aveva deciso di tornare a Kigali. Il gruppo era quasi arrivato e lei lo guidava, prima di una lunga fila indiana. E’ finita su una mina e ora le due gambe le sono state amputate sotto il ginocchio. E’ incinta e, nonostante tutto, la gravidanza procede bene. La sorella che stava dietro di lei è rimasta uccisa sul colpo da una scheggia che le ha trafitto la tempia.
Mustafà, invece, è un ragazzino; aveva attraversato la strada che divide la sua casa da quella di un amichetto con cui voleva andare a giocare. Anche lui ha trovato una mina sul suo cammino e anche lui ha le gambe amputate.
Questi sono due dei pazienti ricoverati all’ospedale centrale di Kigali, riaperto da pochi giorni da un medico italiano, il milanese Gino Strada. Il dottor Strada è diventato famoso per avere partecipato più volte al Maurizio Costanzo Show dal cui palcoscenico ha lanciato la battaglia contro le mine antiuomo. “Sono ordigni micidiali che colpiscono i civili, donne e bambini soprattutto. Non hanno alcun senso strategico. Non servono per vincere le guerre ma solo per vendicarsi sugli avversari”.
Anche ieri mattina il dottor Strada stava amputando una gamba all’ennesimo viandante che rientrava a casa. Uscito dalla sala operatoria ha imprecato: “Perché devono accadere queste cose? Che colpa hanno i civili la cui vita è stata distrutta? Chi fabbrica e vende questi disumani strumenti di morte è un pazzo criminale. Vengano qui a vedere che macello”.
Il Ruanda è pieno di mine e perfino camminare per Kigali al di fuori delle strade asfaltate è pericoloso. “Ho aperto l’ ospedale da pochi giorni e mi sono già arrivati una decina di casi. Tutte persone ferite nel centro abitato”. Il dottor Strada è il leader di Emergency, una organizzazione non governativa che si occupa dei civili vittime della guerra e per statuto non può accettare fondi pubblici. “Troppo spesso gli aiuti sono coinvolti in scandali e storie poco chiare, senza contare che almeno il 50 per cento del budget di queste associazioni finisce per essere utilizzato per la sussistenza dell’organizzazione stessa. Noi non abbiamo neanche una sede da mantenere. I privati che ci finanziano diventano soci e possono andare a verificare come vengono spesi i soldi che ci danno”.
I volontari di Emergency, 5 persone in tutto, sono arrivati a Kigali alla fine di luglio. L’ ospedale generale era stato abbandonato in condizioni pietose. Hanno ramazzato per un paio di settimane e recuperato almeno il blocco operatorio e un padiglione con una quarantina di letti. Lavorano praticamente da soli.
Medici e infermieri ruandesi, quasi tutti tutsi, sono stati trucidati dagli hutu in fuga: “I miliziani del vecchio regime sono entrati e, letto per letto, hanno ammazzato chi non era dei loro. Alla fine han fatto fuori i dottori”. L’ ospedale di Kigali mantiene il prestigio che lo circondava. E pieno di apparecchi sofisticati, di materiale raro e difficile da trovare perfino nei centri europei. I letti sono moderni e ben tenuti. Dopo la ripulitura a fondo le stanze sono tornate a brillare (a parte qualche vetro rotto) ma mancano l’elettricità e l’ acqua, e i corridoi sono desolatamente vuoti.
Come tutta Kigali anche l’ospedale è fantasma. “Qui c’è tutto, proprio tutto, e siamo appena al di sopra dello standard africano. Mancano il personale e i pazienti. Vorremmo, entro una settimana, mettere in funzione altri 120 letti, necessari se i profughi dovessero rientrare in massa. Ma come facciamo senza personale locale che ci aiuti?”.
Il dottor Strada nei giorni scorsi ha duramente contestato la teoria, sostenuta da alcuni dei nuovi dirigenti ruandesi e tollerata da alcuni settori delle Nazioni Unite, secondo cui i profughi avrebbero dovuto rientrare alle loro case a piedi e senza alcun aiuto. Una sorta di selezione naturale che avrebbe costretto i più deboli e gli ammalati a morire per strada e risparmiato i più forti.
Per fortuna l’ipotesi è stata scartata ma il solo fatto che sia stata presa in considerazione getta un’ombra inquietante sul futuro di questo martoriato Paese: lutti e massacri potrebbero non essere ancora finiti.
Massimo A. Alberizzi
massimo a. alberizzi
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