Riportiamo qui il reportage del direttore di Africa ExPress, Massimo Alberizzi, che per primo ha incontrato
il generale Kalifa Haftar nella base di Uadi Dum in Ciad. L’ufficiale era stato appena fatto
prigioniero dall’esercito di N’Djamena che, con l’aiuto dei soldati francesi, aveva catturato
l’installazione militare costruita dai libici nel territorio del Paese vicino. Gli uomini di Gheddafi
che la controllavano erano fuggiti a gambe levate davanti alle truppe nemiche.
DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE
Massimo A. Alberizzi
Uadi Dum (Ciad), 12 aprile 1987
L’attacco arriva improvviso. Nessuno ha sentito i MIG di Gheddafi, non è scattato nessun allarme. Tre bombe lanciate dagli aerei esplodono, una dopo l’altra, tra la pista di Uadi Dum, la grande base costruita dai libici nel Ciad settentrionale e conquistata dall’esercito di N’Djamena, e un convoglio di giornasti che sta visitando le sofisticate attrezzature militari. Ci sono voluti quattro giorni di viaggio sul pianale di un camion per raggiungere questa landa disperata del Sahara ai piedi del Tibesti, una pietraia infuocata di giorno e gelata di notte.
Alla prima esplosione si alza un missile SAM 7 in direzione dell’aereo nemico. Poi un secondo . Alla terza bomba anche il MIG viene abbattuto. Il pilota non ha fatto in tempo a lanciarsi con il paracadute. Nel punto dove ha toccato terra l’aereo ha prodotto un enorme cratere e si è disintegrato. I suoi pezzi sono sparsi dappertutto in un raggio di almeno 300 metri.
Ogni giorno dal 22 marzo, da quando cioè Uadi Dum è stata conquistata dai ciadiani, aerei libici tentano di distruggere le potenti attrezzature bombardandola. La guerra dunque continua.Gheddafi non ha rinunciato all’idea di allungare le sue mani sul Ciad. Eppure il leader libico nella palude ciadiana ha trovato una bruciante sconfitta.
La pista che da Fada porta a Bur Kora, Uadi Dum e ritorna verso sud a Faya Largeau è seminata di carri armati, autoblindo, camionette portamissili , cannoni, camion, obici, bazooka, mortai, jeep, mitragliatrici, casse di munizioni. Tutto è stato abbandonato precipitosamente come dimostrano le centinaia di scarponcini, coperte, elmetti, valigette militari, scatole di olio d’oliva, di salsa di pomodoro, di zucchero, coperte sigarette camicie e pantaloni abbandonati nella sabbia del deserto sahariano.
I carri armati sono almeno trecento, T 55, t 54, BMP di fabbricazione sovietica, molti lasciati intatti con le porta aperte. Qualcuno è stato colpito e incendiato ed è restato semi accartocciato tra le dune. Da qualche torretta sventola ancora la bandiera bianca.
Non è semplice quantificare in denaro il costo di tanto materiale caduto nelle mani ciadiane. Qualcuno parla di un miliardo di dollari (1300 miliardi di vecchie lire, oltre 900 milioni di euro). E’ difficile inoltre capire come un esercito “povero” come quello cadiamo abbia potuto sbaragliare truppe d’occupazione così bene armate come quelle di Gheddafi.
Gail Henesche,comandante in capo delle brigate ciandiane che il 17 marzo scorso hanno liberato Faya Largeau, occupata dal 1983 dai libici, non vuole spiegare la tattica utilizzata. Si trincera dietro un “segreto militare”. Ma un giovane tenente racconta di come i ciadiani siano piombati all’improvviso sui libici utilizzando le velocissime fuoristrada Toyota sulle quali era stato montato un cannoncino o una batteria degli efficientissimi missili Milan.
Dopo aver colpito i primi due o tre carri armati, hanno provocato una vera e propria data di panicata i soldati di Gheddafi, che sono fuggiti come impazziti. “Abbiamo trovato alcuni carri armati con il motore ancora acceso e in folle”, racconta Gail Henesche.
La prima vera battaglia, comunque, è stata solo la prima, quella con cui gli uomini di Hissene Habré hanno conquistato Vada, il 2 gennaio scorso. La città è naturalmente difesa da enormi faraglioni. Si possono superare soltanto attraversando strette gole che i libici avevano presidiato con carri armati e cannoni. Ma a nulla sono servite le armi pesanti e poco maneggevoli di fabbricazione sovietica. Colpite dai missili sono state distrutte. Superata la barriera dei faraglioni, i ciadiani sono entrati facilmente a Fada. Ed è lì che è cominciata la fuga dei libici.
A Uadi Dum si è combattuto pochissimo, nonostante i ciadiani sostengano il contrario, raccontando imprese mirabolanti. I libici, si vede bene, sono fuggiti abbandonando tutto:10 aerei mitraglieri Albatros, 12 Stai-Marchetti, 3 elicotteri da trasporto di fabbricazione sovietica e un Antonov.
Gli uomini di Gheddafi in fuga non hanno fatto a tempoadistruggere neppure le sofisticate apparecchiature radar piazzatesulle colline circostanti e nemmeno a danneggiare la pista di metallo lunga 3.800 metri, quella che ora, tutti i giorni, cerano di bombardare.
Fazzi Issa Omar, un prigioniero libico contattato di nascosto dalle autorità ciadiane, ha raccontato: “Il giorno in cui Uadi Dum è caduta, un gruppo di noi era impegnato i un’esercitazione militare a una decina di chilometri dalla base. Ai primi spari non abbiamo risposto credendo che si trattasse appunto dell’esercitazione. Solo quando era troppo tardi ci siamo resi conto di quanto era accaduto”.
Perfino il capo della base, il pari grado di Gheddafi, Khailifa Abu Qassim Haftar, è caduto prigioniero dei ciadiani assiema alla sua bella “assistente”. Certo una grande vergogna per il battagliero dittatore libico.