Rapporto ONU piazza l’esercito Israeliano nella lista nera delle organizzazioni terroriste come l’ISIS e Al Qaeda

L'organizzazione sovranazionale ha accertato più casi di crimini di guerra contro i minori nei Territori Occupati Palestinesi che in Repubblica Democratica del Congo, Myanmar, Somalia, Nigeria e Sudan

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Speciale per Africa ExPress
Federica Iezzi
19 giugno 2024

Al pari di Russia, organizzazioni terroriste come ISIS/Daesh, al-Qaeda e Boko Haram, Israele – nella fattispecie le Forze di Difesa Israeliane – è stato incluso nella lista nera dei Paesi per violazioni e abusi contro i bambini nelle zone di conflitto.

Striscia di Gaza [photo credit UNRWA]
Nonostante gli sforzi dello stato israeliano per persuadere António Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, a riconsiderare la risoluzione, la decisione resta valida.

Il rapporto delle Nazioni Unite, ha accertato più casi di crimini di guerra contro i minori nei Territori Occupati Palestinesi che in Repubblica Democratica del Congo, Myanmar, Somalia, Nigeria e Sudan. Sono stati verificati 8.009 gravi violazioni contro 4.360 bambini. Si parla di un aumento del 155% [Children and armed conflict – Report of the Secretary General].

Il rapporto di quest’anno è una lettura triste. Le Nazioni Unite hanno verificato più di 30mila gravi violazioni a livello globale nel 2023, con un aumento del 21 per cento rispetto all’anno precedente. L’aumento allarmante è dovuto alla natura in evoluzione, alla complessità e all’intensificazione dei conflitti armati, nonché all’uso di armi esplosive nelle aree popolate.

L’inclusione di Israele nella lista nera potrebbe indurre, chi continua a mantenere vivi rapporti commerciali con il Paese, a imporre un embargo sulle armi. In effetti il quadro più schiacciante, dal punto di vista morale e legale, è stato il sostegno diplomatico, finanziario e militare, a tutto campo, dell’Occidente all’assalto punitivo di Israele in Palestina.

 

La risposta di Israele è esplicitamente scivolata, ancora una volta, sulla linea della illegalità. Infatti lo Stato potrebbe negare i visti ai funzionari delle Nazioni Unite, impedendo loro di lavorare in Cisgiordania.

Ancora in piena discussione, presso la Corte Penale Internazionale, le accuse contro il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu e quello della della Difesa, Yoav Gallant. Pendenti anche le decisioni della Corte Internazionale di Giustizia che hanno fatto seguito alla richiesta di avvio di un procedimento contro lo Stato di Israele da parte del Sudafrica, per atti di genocidio contro i palestinesi della Striscia di Gaza.

Raphael Lemkin, giurista ebreo polacco, che ha dato il nome a quello che oggi viene definito “genocidio”, aveva ben in mente il suo significato [Free world, 1945]. Quello dell’intento manifesto alla distruzione di un popolo, attraverso una precisa policy e un chiarissimo schema delle condotte di un governo.

Il genocidio è reso possibile dalla disumanizzazione dell’altro. Molti Paesi, disegnati sulle attuali cartine geografiche, sono nati dalle ceneri di violenti massacri, basti pensare agli Stati Uniti contro i nativi d’America, alla Cambogia di Pol Pot contro minoranze etniche e religiose cambogiane, al Canada contro i popoli indigeni.

È estremamente difficile riparare la frattura spirituale commessa da Israele ai danni dei palestinesi. Ricorda, con tutto il suo orrore e la sua ingiustizia, pagine nere della nostra storia, a partire da Sarajevo per arrivare al Rwanda.

L’obiettivo è quello della fine dei doppi standard e della cultura dell’impunità di cui Israele ha goduto per troppo tempo.

Ci si chiede, come si è arrivati a tutto questo? L’errore di partenza è stato quello della tolleranza verso il colonialismo di insediamento di Israele, ancora prima della sua nascita come Stato. La sottrazione arbitraria delle terre palestinesi avveniva già con gli ebrei in fuga dall’Europa nazifascista. E allora il dualismo legale e la conseguente apartheid ha plasmato anni di soprusi.

Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
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