Speciale per Africa ExPress
Andrea Spinelli Barrile
Roma, 29 settembre 2017
Quando pensiamo all’Africa senza esserci mai stati pensiamo ad un posto come Mopti, in Mali: tramonti color harissa, polvere ocra e auto che sferruzzano rumorose sulle strade sabbiose piene di buche, guizzanti corpi neri come la pece che sfoggiano sorrisi che così grandi non li si vede da nessuna parte, lance di legno, tetti di paglia e tetti di lamiera che si alternano. Persone. Ovunque, persone.
Situata alla confluenza dei fiumi Bani e Niger, Mopti è un’importante porto fluviale nel cuore del Sahel e regge la propria economia su due pilastri: i cantieri navali e l’agricoltura (arachidi e cotone). Non è proprio il cotone del Burkina Faso, il migliore del mondo, ma è uno dei prodotti di esportazione più preziosi che il Mali ha nel proprio paniere, il cui commercio ha scalzato completamente l’economia che ruotava attorno alla lavorazione ed all’esportazione delle piume d’airone, che nei primi del Novecento in Europa andavano di gran moda su cappelli e spolverini.
A Mopti, capitale dell’omonima regione, la più ricca del Mali, vivono circa 120.000 persone, in maggioranza musulmani che ogni venerdì affollano la grande moschea della città. La città è più vicina al confine con il Burkina Faso che con la capitale maliana Bamako ed anche il confine con il Niger non è molto lontano: per questo motivo, da qualche anno, la città e la regione di Mopti sono diventati un crocevia importantissimo per il traffico di esseri umani e, sopratutto, per le campagne di reclutamento dei gruppi islamisti dell’Africa nord-occidentale. Non passa giorno senza che le agenzie stampa francofone non battano la notizia di scontri a fuoco tra miliziani ed esercito maliano e non passa giorno senza che i vertici dell’esercito di Bamako invochino aiuto, sopratutto ai francesi, per contrastare questo problema. Nel marzo di quest’anno, quando tutte le sigle islamiste dell’Africa occidentale si sono unite sotto l’egida di al-Qaeda, la tensione si è bruscamente alzata in tutta la regione e da allora le cose non sono che andate peggiorando.
Alla fine di luglio diversi politici maliani “illuminati” hanno cercato di aprire diversi canali negoziali con gli islamisti guidati da Amadou Kufa, il cui vero nome è Amadou Diallo, predicatore di etnia Fulani che ha viaggiato in Pakistan e Mauritania, vicino al numero uno del jihad delle zone desertiche, Iyad ad Ghali. Kufa ha iniziato il suo jihad nel 2012, con la guerra in Mali tra le fila di Ansar Eddine, l’anno successivo ha partecipato alla battaglia di Konna e nel 2015 ha fondato Macina, un fronte di liberazione a vocazione islamista salafita.
Accettando il negoziato con Bamako Kufa ha inviato emissari presso gli uffici della capitale dell’ex-presidente dell’Assemblea Nazionale, Alioune Diallo, uno dei leader carismatici della comunità Fulani, chiedendo tre cose: la fine della missione ONU Minusma, la partenza immediata dell’esercito francese (che invece si è rinforzato) e di avere come unico negoziatore proprio l’ex-Presidente Diallo. Ovviamente l’affare non è andato in porto e la situazione, dai primi di agosto, è letteralmente precipitata.
Secondo diverse testimonianze riportate da RFI nelle ultime settimane Mopti e i villaggi della regione – in particolare nelle zone adiacenti ai porosissimi confini col Burkina Faso – sono diventati la meta preferita dei reclutatori islamisti fedeli a Amadou Kufa. Il venerdì e la domenica una decina di giovani motociclisti arrivano rombando nei villaggi e cominciano a predicare nella pubblica piazza, una campagna battente di reclutamento intensificatasi nel tempo: gli islamisti vanno e vengono indisturbati attraversando il confine e negli ultimi giorni sembra che a fare compagnia alle moto siano arrivati anche dei grossi pick-up. Gli islamisti chiedono donazioni in natura “per aiutare la causa”: bestiame, raccolto, cibo in scatola, tutto ciò che è possibile donare e che viene loro dato senza troppe discussioni. Il perché è presto detto: i numerosi attentati e attacchi succedutesi negli ultimi anni in Mali, particolarmente nella regione di Mopti fino a Koro, hanno letteralmente stravolto le abitudini, spesso millenarie, degli abitanti dei villaggi, instillando loro due dei più pericolosi virus dell’umanità: la paura e il sospetto.
La paura che chiunque andando al mercato o al lavoro possa saltare in aria o finire crivellato dai kalashnikov, il sospetto che gli islamisti ascoltino tutto, tutti, in ogni momento, che tra loro ci possa essere il mio vicino di casa, un mio parente o mio figlio. Un cocktail che cambia l’esistenza delle persone. A Mopti il terrorismo islamista ha già vinto per mancanza d’altro, ed ha vinto a mani basse: come vincevano Riina e Provenzano, come vincevano i cutoliani prima e il clan di Secondigliano poi, come vinceva Pablo Escobar oggi in Mali vince Amadou Kufa.
In un recente file audio pubblicato su diversi canali Telegram Kufa esorta le sue truppe, le motiva e si riferisce esplicitamente alla zona tra Mopti e Koro: anche se diverse decine di miliziani sembra abbiano abbandonato il jihad nelle ultime settimane la campagna di reclutamento è più battente che mai, lo stipendio da miliziano più che adeguato agli standard maliani e burkinabé e, sopratutto, si spara con il kalashikov. Si ha il potere direttamente per mano di Allah: per gli ultimi degli ultimi, è come sentirsi toccati direttamente da dio.
Un rapporto recente di Amnesty International denuncia che oltre 150.000 alunni maliani non possono più andare a scuola per mancanza di sicurezza e buona parte di questi vive nella regione di Mopti: oltre a perdere il proprio diritto all’istruzione questi bambini diventano carne fresca facile preda dei predicatori islamisti, che fanno leva sull’orgoglio e sulla fame per arruolare spesso ragazzini.
La scorsa settimana nel villaggio di Toguerekoumbé l’esercito di Bamako è riuscito, non senza perdite consistenti, ad espellere gli islamisti fuori dall’area urbana ma questi si sono rifugiati da un’altra parte, a Kouakrou. Questo ha permesso agli islamisti di organizzare dei posti di blocco attorno a Toguerekoumbé, dove oggi non arriva più niente: niente cibo, niente scorte, niente acqua, niente di niente. Gli islamisti sono riusciti a imporre un embargo durissimo alla città occupata dai militari governativi, una delle tante assurde contraddizioni africane dei tempi moderni.
Andrea Spinelli Barrile
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