Nel silenzio assoluto dei media musulmani e cristiani si ammazzano tra loro in Centrafrica

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Rifugiati centrafricani arrivano nel Ciad

Cornelia I. Toelgyes Rov 100Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 11 aprile 2017

Nella Repubblica centrafricana (CAR), dopo quattro anni il conflitto interno non tende a placarsi. Le violenze non si fermano e la popolazione civile è allo stremo. Secondo i dati dello scorso febbraio, rilasciati dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), 2,2 milioni di persone, su una popolazione totale di 4,6 milioni, si trovano in stato di insicurezza alimentare. Oltre ottocentosessantamila civili hanno dovuto lasciare i loro villaggi e e le loro case. Tra loro poco più della metà hanno cercato protezione nei Paesi confinanti, gli altri sono sfollati interni.

I primi di aprile la città di Ngaoundaye nel nord-ovest del CAR, vicino al confine con il Ciad e il Camerun, è stata teatro di un assalto da parte del Mouvement Politique pour le Centrafique (MPC) e di un gruppo ribelle locale, Révolution Justice (R.J.), durante il quale sono state uccise diverse persone. Da allora, per paura di nuovi attacchi, oltre mille centrafricani hanno attraversato la frontiera, cercando rifugio nel vicino Ciad. Sembra che molti ex Séléka (miliziani soprattutto musulmani)  avrebbero voluto installarsi in questa area strategica e zona di passaggio durante la transumanza delle mandrie dei fulani.

Rifugiati centrafricani arrivano nel Ciad
Rifugiati centrafricani arrivano nel Ciad

A fine marzo sono state barbaramente ammazzate in meno di quattro giorni una cinquantina di persone nella zona di Bambari, nel centro del Paese. Decine di altre sono state ferite. Secondo alcuni residenti i responsabili dell’attacco a tre villaggi nell’aerea di Bambari sarebbero miliziani del movimento Union pour la paix en Centrafrique (UPC), un gruppo capeggiato da Ali Ndarass, uno dei componenti dei ribelli ex Séléka. Continuano indisturbatamente le rappresaglie contro le popolazioni autoctone. L’UPC nega e punta il dito contro un altro gruppo armato, nato sempre da combattenti ex Séléka, il Front populaire pour la renaissance de la Centrafrique (FPRC). Scontri e attacchi da parte di bande criminali rivali sono ancora all’ordine del giorno nella zona e nella città stessa di Bambari, dove è dislocato anche un contingente della United Nations Multidimensional Integrated  Stabilization Mission in the Central African Republic (MINUSCA).

Nell’est della ex colonia francese imperversano, invece, bande criminali, formate soprattutto da componenti degli anti-balaka (vi aderiscono soprattutto cristiani e animisti). A Bakouma, nella prefettura di Mbomou, e a Bria, nella prefettura dell’Haute-Kotto, questi gruppi si sono scontrati con i caschi blu di Minusca, intervenuti per proteggere la popolazione civile.

Tre anti-balaka sono stati uccisi e quattro hanno riportato ferite più o meno gravi a Bakouma, dove i criminali hanno distrutto il ponte, per impedire l’accesso alle forze dell’ONU. Mentre durante l’attacco a Bria sono morte sei persone, altre dodici sono state ferite, tra loro anche un civile: nove miliziani sono stati arrestati.  

Gruppi di bande armate che comprendono miliziani ex Séléka da una parte e anti-balaka dall’altra, spargono terrore e violenza nel Paese. I caschi blu di MINUSCA, Missione fortemente voluta dall’allora Segretario generale delle Nazioni Unite (ONU) Ban ki-moon, dopo due anni e mezzo di attività nella ex colonia francese, non sono ancora riusciti a disarmare le bande e riportare la stabilità. E nemmeno la visita di Papa Bergoglio ha riportato la pace in questi luoghi, che hanno dato i natali a Jean-Bedel Bokassa.

Secondo e Nazioni Unite nella Repubblica Centrafricana sono presenti anche oltre cinquecento mercenari che combattono a fianco di vari gruppi ex-Séléka. Miliziani stranieri pericolosi, che saccheggiano villaggi, violentano le donne e che cercano di appropriarsi delle ricchezze naturali del Paese. Tra loro anche membri della “Lord’s Resistance Army” (LRA), gruppo armato ugandese in opposizione al presidente Yoweri Museveni.  Altri provengono dal Sudan e dal Ciad, ma tutti presenti sul territorio con il solo scopo di approfittare della fragilità che ancora regna nel Paese, dell’assenza dello Stato e della presenza di un sentimento di impunità che esaspera la popolazione.

ob_4caa82_carte-centrafriqueLa crisi dell’ex colonia francese comincia alla fine del 2012: il presidente François Bozizé dopo essere stato minacciato dai ribelli Séléka (il maggioranza musulmani) alle porte di Bangui, chiede aiuto all’ONU e alla Francia. Nel marzo 2013 Michel Djotodia, prende il potere, diventando così il primo presidente di fede islamica (nonostante il nome) del Paese. Dall’ottobre dello stesso anno i combattimenti tra i cristiano animisti anti-balaka  e gli ex-Séléka si intensificano e lo Stato non è più in grado di garantire l’ordine pubblico, Francia e ONU temono che la guerra civile possa trasformarsi in genocidio. Il 10 gennaio 2014 Djotodia presenta le dimissioni e il giorno seguente parte per l’esilio in Benin. Il 23 gennaio 2014 viene nominata presidente del governo di transizione Catherine Samba-Panza, ex-sindaco di Bangui.

Il 15 settembre 2014 arrivano anche i caschi blu dell’ONU della Missione Multidimensionale Integrata per la Stabilizzazione nella Repubblica Centrafricana. Le forze dell’Unione Africana del contingente MUNISCA, presenti con 5250 uomini (850 soldati del Ciad hanno dovuto lasciare il Paese qualche mese prima, perché accusati di aver usato la popolazione come scudi umani) affiancano le truppe francesi dell’operazione Sangaris. Con la risoluzione 2301 del 26 luglio 2016 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU rinnova il mandato di MINUSCA fino a novembre 2017. Attualmente il contingente internazionale conta 12.870 uomini: 10.750 militari e 2.080 poliziotti, oltre ad un certo numero di personale civile. Il 31 ottobre scorso la Francia ha ufficialmente ritirato le sue truppe dell’operazione Sangaris, che si è protratta per tre anni.

Nella primavera del 2015 alcuni caschi blu, tra loro anche dei soldati francesi, sono stati accusati di molestie sessuali contro minori http://www.africa-express.info/2015/04/30/centrafrica-militari-francesi-accusati-di-molestie-sessualiverso-minori/. Gli incresciosi fatti hanno scosso l’opinione pubblica ed alcuni alti funzionari hanno dovuto lasciare i loro incarichi, come Babacar Gaye, capo di MINUSCA (http://www.africa-express.info/2015/08/12/scandali-sessuali-e-caschi-blu-si-dimette-il-capo-della-missione-dellonu-centrafrica/) e l’italiana Flavia Pansieri, numero due dell’agenzia ONU “Alto commissariato per i diritti dell’uomo” (OHCHR) (http://www.africa-express.info/2015/08/13/la-crisi-centrafricana-investe-anche-lonu-nel-caos-dopo-e-dimissioni-dellitaliana-che-si-occupava-di-diritti-umani/).

caschi blu di MINUSCA
caschi blu di MINUSCA

L’inchiesta per violenza sessuale su minori nella Repubblica Centrafricana, aperta dalla Procura parigina nei confronti di sei soldati dell’operazione Sangaris non è riuscita a formulare alcun capo d’accusa. Le investigazioni sul caso si sono concluse lo scorso 20 dicembre 2016. I sei militari sono stati ascoltati più volte, ma non risulta nessuna imputazione a loro carico. Hanno ammesso di aver dato delle razioni di cibo ai minori, ma hanno negato di aver commesso alcuna violenza sessuale nei loro confronti. Dunque il caso potrebbe arrivare a un proscioglimento anticipato con un non luogo a procedere. Le parti dispongono comunque di tre mesi di tempo per richiedere nuovamente gli atti dell’inchiesta, prima dell’istanza della Procura di Parigi e di una decisione definitiva del giudice.

A tutt’oggi sono in corso altre indagini avviate dalla Procura di Parig. Inoltre, grazie ad un’inchiesta interna  dell’ONU, è stato possibile individuare quarantun caschi blu burundesi e gabonesi di MINUSCA, che avrebbero commesso violenze sessuali nella Prefettura di Kemo tra il 2014 e il 2015.

A fine novembre dello scorso anno l’Unione europea ha stanziato per il periodo 2016-2020 oltre due miliardi di euro per il raggiungimento della pace, la sicurezza, la riconciliazione e per incoraggiare lo sviluppo e la ripresa economica del CAR. Da allora non si parla quasi più di questo Paese tanto travagliato, dove i musulmani uccidono i cristiani e viceversa, dove sono state distrutte dai cristiani quattrocentodiciasette moschee.

Cornelia I. Toelgyes
coneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

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