Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 27 luglio 2015
Riuniti nei dintorni di Jilib, poco a nord di Chisimaio, la seconda città portuale 600 chilometri a sud di Mogadiscio, i capi degli shebab stanno discutendo se cambiare alleanza e abbandonare i vecchi amici di Al Qaeda per trasferirsi, armi (proprio in senso letterale) e bagagli, nel campo dell’ISIL (Islamic State of Iraq and Levant), altrimenti chiamato ISIS (Islamic State of Iraq and Syria) o più semplicemente IS (Islamic State).
Il leader degli shebab, Ahmed Abu-Ubaidah (sul quale pende una taglia di 3 milioni di dollari), e i suoi compagni finora erano schierati con Ayman Al Zawaihiri, l’uomo che ha sostituito Osama Bin Laden alla testa di Al Qaeda, ma ora stanno subendo il fascino di Abu Bakr Al Baghdadi, il califfo dello Stato islamico, colui che si è autoproclamato il capo di tutti i musulmani.
Difficile riuscire a capire le differenti posizioni emerse tra i leader degli shebab: per certo si sa che ci sono opinioni discordanti. C’è chi propende per il cambio di alleanze e chi per la continuità. E’ certo però che il movimento è profondamente spaccato e rischia una nuova scissione dopo quelle che si sono verificate negli ultimi anni. Il gruppo degli Al Shebab ha dichiarato la sua appartenenza alla galassia di Al Qaeda nel 2012 e da allora è stato sempre fedele e leale alle idee espresse da Bin Laden e dal suo successore. Da tenere presente, tra l’altro, che i leader storici del movimento islamico somalo, l’ideologo shek Hassan Daher Aweis e il teologo e comandante militare Hassan Abdullah Hersi al-Turki, non sono più presenti sullo scenario dell’ex colonia italiana.
Il primo si è arreso ai governativi, per evitare di essere passato per le armi durante una delle rivolte interne agli shebab. E’ l’uomo cui devo la vita giacché, quando fui sequestrato delle corti islamiche nel dicembre 2006, intervenne in mio favore bloccando i giovani che avrebbero voluto farmi fuori. E mi disse: “I morihan (solo un paio d’anni dopo si sarebbero chiamati shebab) ti hanno catturato su ordine degli eritrei”. Ora è agli arresti domiciliari a Mogadiscio e gli americani l’hanno cancellato dalla lista dei terroristi.
Il colonnello Hassan Turki, considerato per anni l’hardliner dell’islamismo somalo, è morto a metà del maggio scorso (qualcuno dice il 21 e altri il 27). Ma anche lui si era costituito in marzo, probabilmente temeva di essere ucciso da un drone americano o dalla fazione shebab che gli si era rivoltata contro. http://www.africa-express.info/2015/03/12/bombe-baidoa-mentre-il-superterrorista-costituito-hassan-turki-promette-di-prendere-la-vedova-bianca/. Quindi ora all’interno del movimento somalo si stanno affrontando due correnti.
Dal 2012 gli shebab non hanno mai espresso dubbi sulla loro fedeltà ad Al Qaeda di cui si consideravano la loro filiale nel Corno d’Africa. Nel marzo scorso – raccontano fonti di intelligence – Al Baghdadi ha inviato allo sceicco Abu Ubaidah un incoraggiamento a portare la jihad, cioè la guerra santa islamica, in Kenya, Tanzania ed Etiopia. Il messaggio terminava con l’invito a riposizionare gli shebab nell’arcipelago dei gruppi terroristi facendolo migrare da Al Qaeda all’ISIS. Alla sollecitazione non c’è stata una vera risposta ma vaghi ringraziamenti. Ora invece è venuto il momento di scegliere.
Al Qaeda – e quindi gli shebab – formalmente si sono dissociati dall’ISIS nel febbraio 2014, con una annuncio pubblicato in internet, con il quale si prendevano le distanze dalle atrocità del califfato che, si sanciva, non dev’essere più considerato una sua succursale. “Non siamo più responsabili delle sua azioni”, sottolineava il documento.
A dispetto di gran parte dell’opinione pubblica secondo cui gli islamici, gli islamisti e in generale i seguaci del profeta Mohamed (Maometto in italiano) sono tutti uguali, la realtà è assai diversa. Perfino i gruppi terroristi differiscono tra loro nella strategia, nella tattica e negli obbiettivi da raggiungere. Al Qaeda, per esempio rimprovera ad Al Baghdadi di perseguire pratiche dittatoriali. L’essersi autonominato califfo – è una delle critiche – è uno schiaffo alla religione, secondo cui il califfo deve essere nominato da un gran consiglio di tutti i musulmani. Ma soprattutto Al Zawaihiri ritiene che le pratiche dell’ISIS siano troppo brutali e disumane. L’utilizzo poi dei media, dei video soprattutto, che mostrano atti di violenza inaudita, invece di attrarre simpatie, secondo Al Qaeda, ottengono l’effetto contrario: repulsione e disgusto.
Ultimamente però sembra proprio che gli shebab abbiano deciso di applicare i metodi dello Stato Islamico: secondo alcuni rapporti di intelligence redatti qui a Nairobi – di cui Africa ExPress ha potuto prendere visione – sembra quasi che il gruppo terrorista nato in Somalia abbia voluto sperimentare e applicare tecniche crudeli e feroci da portare in dote assieme all’accettazione dell’invito a unirsi all’ISIS. Primo tra tutti i video recenti in cui viene mostrata la decapitazione delle vittime, un uso delle immagini – postate in rete e sui social media – professionale, azzeccato e spregiudicato (sembra quasi che la regia dei prodotti confezionati sia affidata a tecnici competenti dello Stato Islamico).
Infine, ma la notizia non è del tutto nuova, in Somalia sono arrivati gruppi di nigeriani, militanti e capi di Boko Haram, la filiale dell’ISIS nell’ex colonia britannica sul Golfo di Guinea. Forse per questo ora gli shebab – cosa nuova – uniscono al terrorismo il business: saccheggiano i loro obbiettivi e chiedono il riscatto per rilasciare le persone che rapiscono.
Ma proprio il denaro potrebbe far pesare la bilancia degli shebab a favore dell’ISIS. Al Baghdadi, che riceve ingenti finanziamenti “privati” dagli sceicchi del petrolio, avrebbe promesso a Al Ubaidah un sostegno concreto in armi e dollari. Tra l’altro, incalzati dalle truppe della missione dell’Africa Union e dall’esercito regolare somalo, i cui soldati hanno ultimamente ricevuto un addestramento migliore e, soprattutto, salari decenti pagati puntualmente, i guerriglieri somali hanno perso terreno comprese alcune città, come Bardehere che controllavano da anni. Hanno quindi bisogno di aiuti finanziari e logistici, cosa che Ayman Al Zawaihiri non sembra possa più offrire. I vecchi tempi in cui Al Sudani portava a Mogadiscio valige piene di biglietti verdi, dono di Osama Bin Laden, ad Hassan Daher Aweis e ad Hassan Turki sono proprio finiti.
Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
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Foto dall’alto in basso: Abu Ubaidah, Shebab in addestramento con i bazooka, Hassan Turki, Sheck Hassan Daher Aweis
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