Nostro Servizio Particolare
Cornelia Isabel Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 25 luglio 2014
Sheik Umar Khan, medico virologo della Sierra Leone, considerato un eroe nel suo Paese per aver lottato in prima fila contro l’ebola e per aver trattato oltre cento pazienti affetti dal virus killer, ora è ricoverato lui stesso in un reparto di isolamento, assistito dai medici di Médecins sans frontières (MSF).
“Il nostro eroe nazionale ha l’ebola, lo hanno confermato le analisi di laboratorio – ha annunciato ieri in una conferenza stampa la signora ministro alla sanità, Miatta Kargbo -. Farò tutto ciò che è in mio potere per salvargli la vita”, ha aggiunto la Kargbo. Altre tre infermiere sono morte la scorsa settimana nello stesso centro dove prestava servizio Khan.
Anche se tutti affermano che sia lui che le infermiere abbiano sempre preso le precauzioni necessarie, indossando gli abiti prescritti dal protocollo, qualcosa certamente non ha funzionato a dovere.
Intanto l’ebola non arresta la sua folle corsa. Non risparmia nessuno, il virus colpisce chiunque ne viene a contatto. La situazione attuale, secondo l’ultimo bollettino rilasciato dall’Organizzazione mondiale alla sanità (OMS), il 20 luglio 2014 è la seguente:
Nei tre Paesi colpiti dall’ebola, cioè Liberia, Guinea e Sierra Leone i casi riscontrati sono millenovantatre, mentre le persone decedute sono seicentosessanta. Per ora l’OMS non ritiene necessario sconsigliare viaggi nei tre Paesi o una chiusura delle frontiere.
E’ difficile fare comprendere alle persone sospette di aver riscontrato il virus che è necessario essere ricoverati in un reparto di isolamento, possibilmente in un centro specializzato, per ricevere le migliori cure possibili e per non essere fonte di contagio per i familiari e altri. Molte persone affette dalla malattia ed anche i loro familiari vedono l’isolamento come una punizione, non come assistenza e cura. I pazienti hanno paura, cercano di scappare con l’aiuto dei familiari, come è successo proprio nella capitale della Sierra Leone in questi giorni.
Il primo caso risale ad una settimana fa, nel Princess Christian Maternity Hospital, in un quartiere ad est di Freetown, la capitale della Sierra Leone. Mariatu, una giovane donna, vicina al parto, si è fatta ricoverare per un malessere generale. I medici hanno subito pensato che potesse trattarsi di ebola e nell’attesa delle analisi di laboratorio, è stato predisposto il suo trasferimento in un reparto di isolamento. La paziente ha fatto chiamare i suoi parenti e gli amici più stretti che hanno discusso animatamente con lo staff medico. Il giorno dopo sono tornati, accompagnati da un gruppetto di ragazzi muscolosi, assoldati dai familiari della paziente, come loro stessi hanno confermato alle forze dell’ordine più tardi, che non hanno esitato ad affrontare i poliziotti e le guardia presenti all’entrata. Non hanno nemmeno risparmiato le infermiere del reparto, ad una di loro hanno sferrato uno schiaffo in pieno viso. Mariatu è riuscita a scappare. Un suo parente l’ha portata via in sella alla sua motocicletta sotto una pioggia torrenziale.
Un giornalista di Awereness Time, un quotidiano della Sierra Leone, ha fatto sapere che non si possono rimproverare i poliziotti per l’accaduto. “Sono veramente mal-equipaggiati per affrontare situazioni di emergenza”. Ha poi aggiunto: “In questo periodo di grave crisi sanitaria, non ho visto in tutto l’ospedale un luogo dove potersi disinfettare o, per lo meno, lavarsi le mani”.
Due giorni dopo, il 20 luglio 2014 sono arrivate le analisi della paziente, e, durante una conferenza stampa la Kargbo ha dichiarato che fortunatamente queste erano negative. “La paziente in questione non ha riscontrato l’ebola” ha detto.
Non così oggi. Infatti è “caccia all’uomo” per una donna di trentadue anni, risultata positiva al test del micidiale virus, che è riuscita a scappare dall’ospedale nel quale era ricoverata. Tutte le stazioni radio del Paese chiedono la collaborazione della cittadinanza per ritrovarla, sottolineando che la donna è un rischio per chiunque entri in contatto con lei.
L’ebola miete anche altre vittime collaterali. Sempre in Sierra Leone un portavoce del governo, Birma Turay, ha fatto sapere che nel distretto di Kailahun sono deceduti dodici insegnanti a causa dell’ebola. Ciò ha creato non poco disagio nelle scuole. Infatti, per ora non è possibile fissare la data per gli esami di fine corso.
Ora il virus killer ha raggiunto la Nigeria. Secondo l’agenzia Reuters, un uomo di nazionalità liberiana sarebbe collassato, appena arrivato, all’aeroporto di Lagos. Immediatamente è stato trasportato in un ospedale della metropoli, dove i medici hanno predisposto il suo ricovero in un reparto di isolamento. E’ deceduto oggi. Un portavoce del governo nigeriano ha confermato che è risultato positivo al test dell’ebola.
Cornelia I. Toelgyes
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