Nostro Servizio Particolare
Cornelia I. Toelgyes
24 febbraio 2014
Il Presidente dell’Uganda, Yoweri Musenewi, nonostante le pressioni, non è pronto a firmare la tanto discussa legge anti-gay, approvata in dicembre 2013 dal parlamento ugandese. Ha preso tempo per riflettere, ha voluto sentire l’opinione dei medici più illustri del suo paese.
E’ stata persino istituita una commissione parlamentare di cui hanno fatto parte anche medici e scienziati del Ministero della salute e dell’università di Makerere (sicuramente la più famosa di tutta l’Africa e forse anche la più importante). Ora sulla scrivania del presidente ci sono ben 14 rapporti e tutti quanti affermano che l’omosessualità non è di natura genetica, è semplicemente un tipo di comportamento sociale anomalo.
Le organizzazioni dei diritti umani internazionali si sono opposte alle nuove leggi anti-gay che prevedono anche l’ergastolo, ma non la pena di morte.
Il presidente Musenewi si è posto le seguenti domande prima di prendere una decisione: se l’omosessualità è un comportamento anomalo, possiamo uccidere, imprigionare una persona per questo o cerchiamo semplicemente di comprenderla? E aggiunge: “Un comportamento anomalo può essere anche curato, ma non posso in alcun modo accettare la posizione del mondo occidentale che ritiene l’omosessualità un comportamento sessuale alternativo. Devo proteggere il mio paese da queste deviazioni”.
Gli USA sono i maggiori finanziatori dell’Uganda e il presidente Barak Obama ha espresso forti perplessità a proposito delle nuove leggi anti-gay. Tra l’altro ha sottolineato che nel caso in cui saranno varate, i rapporti tra Uganda e USA potrebbero subire un cambiamento di rotta. Tradotto in un linguaggio più comprensibile, vuol dire che Washington potrebbe ridurre i finanziamenti al suo alleato in Africa centrale.
Fra pochi giorni il presidente dell’Uganda scioglierà la sua riserva. Pressato com’è dagli integralisti cristiani del suo Paese che gli chiedono con insistenza di intervenire e il denaro di Barak Obama che potrebbe restare negli Stati Uniti.
Cornelia I. Toelgyes
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