DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE
Massimo A. Alberizzi
Goma, 29 aprile 2011
Da un paio d’anni è cominciata l’operazione “assalto al petrolio congolese”. La Repubblica Democratica del Congo, o Congo-K dal nome della sua capitale Kinshasa, il Paese forse più ricco di tutta l’Africa, dopo i risultati delle prospezioni che hanno evidenziato la presenza di enormi giacimenti, è diventata oggetto degli appetiti delle multinazionali del settore. I contratti in corso di negoziazione valgono miliardi di euro e la corsa ad accaparrarseli è frenetica. Dall’Oceano Atlantico, a ovest, ai Grandi Laghi, a est, tutti vogliono perforare. Ma attenzione: gli ecologisti e i difensori dei diritti umani sono sul piede di guerra, perché si rischia la distruzione di uno degli ultimi paradisi terrestri.
Non solo: quando arriva il petrolio arriva anche la guerra e c’è chi mette in guardia sui rischi di un’escalation bellica in un Paese che, in realtà, non è mai stato pacificato del tutto, proprio perché le sue ricchezze fanno gola a troppa gente.
La rivista specializzata Africa Intelligence, solitamente ben informata, pubblica un articolo dal titolo “L’ENI vuole tutto e subito”, in cui si racconta come l’ente petrolifero italiano da un po’ di tempo sta cercando con grandi sforzi di ottenere concessioni per sette blocchi petroliferi nella valle del lago Alberto, nel lago Tanganika e nel bacino centrale dei Grandi Laghi.
Il presidente del Congo Kinshasa, Joseph Kabila, sta probabilmente mettendo in pratica quello che ha annunciato il 10 dicembre scorso durante l’annuale discorso davanti al parlamento: “Basta – aveva detto – con le concessioni alle piccole imprese petrolifere che non hanno soldi da investire. D’ora in poi daremo le concessioni solo alle grandi multinazionali”. In effetti nel giugno 2010 Kabila aveva già stipulato patti con due compagnie sudafricane, la Caprikat e Foxwelp, assolutamente sconosciute nel mondo del petrolio, registrate nelle Isole Vergini britanniche e di proprietà di Khulubuse Zuma, nipote del presidente sudafricano Jacob Zuma, la prima, e del suo avvocato (“Un prestanome”, giurano a Johannesburg) sempre sudafricano, Michael Hulley, la seconda.
MISTERIOSI PROPRIETARI
L’assegnazione dei blocchi 1 e 2 sul Lago Alberto, nelle cui acque corre una parte della frontiera con l’Uganda, aveva creato dure polemiche sia in Congo sia in Sud Africa. Il contratto era oscuro e controverso; stranamente non prevedeva la partecipazione della compagnia statale Cohydro, (Congolaise des hydrocarbures), e, tra l’altro, non si capiva bene perché le concessioni fossero state ritirate alla britannica Tullow Oil, che le aveva stipulate nel 2006 in termini vantaggiosi per l’ex colonia belga, e girate – senza alcuna trasparenza – a due sconosciute compagnie, nate solo qualche mese prima, modificando le condizioni in peggio.
Consigliere speciale di Khulubuse Zuma, il milanese Giuseppe Ciccarelli, ex impiegato dell’ENI e capo della società svizzera Medea Development SA (ora in liquidazione) consulente tecnico dei due blocchi di cui la Caprikat e la Foxwelp avevano la concessione, aveva dichiarato in un primo tempo che Zuma e Hulley non avevano alcuna proprietà sulle due società chiacchierate. Poi aveva ammesso la proprietà del nipote del presidente ma – secondo un dispaccio di Katrina Manson, della Reuters, pubblicato il 16 agosto 2010 – si era rifiutato di fornire i nomi dei reali investitori.
Per altro il portavoce della Tullow Oil, piuttosto stizzito aveva commentato così la vicenda: “Senza trasparenza e sacralità del contratto è molto difficile attrarre investimenti puliti e chiari da cui può trarre beneficio la popolazione in generale e non solo alcuni pochi. La concessione delle licenze (alla Caprikat e Foxwelp, ndr) – aveva aggiunto – non aiutano per niente l’Africa a costruire una reputazione di trasparenza e correttezza”.
Il blocco numero 3, invece è stato assegnato a un’altra società poco trasparente e chiacchierata: la sudafricana Divine Inspiration Group (DIG), che ancora detiene i diritti.
AFFITTATO UN PALAZZO
Nel marzo scorso l’arrivo della Total (già presente in Congo-K nel settore della distribuzione) nei campi di sfruttamento e le trattative in corso con l’ENI, sembrano confermare l’intenzione di Kabila di affidarsi solo a grandi gruppi.
Secondo quanto scrive Africa Intelligence, un alto dirigente del gruppo di Metanopoli, Luca Dragonetti, e un geologo della società, Davide Casini Ropa, un paio di settimane fa sono stati a Kinshasa per un secondo raund di negoziati sui blocchi 15, 16 e 17 nel Bacino Centrale, 1,2 e 3 a nord del Lago Tanganika e il numero 4 nella valle del Lago Alberto.
I due dirigenti dell’ENI, che già possiede una concessione nell’area di Ndunda, del distretto del Bas-Congo (il Basso Congo), nell’ovest del Paese ai confini con l’Angola, non hanno neppure atteso l’esito dei colloqui e, probabilmente sicuri del risultato positivo, hanno preso in affitto diversi piani di un palazzo nel quartiere Gombe, il più moderno di Kinshasa.
Fonti locali contattate da Africa ExPress nella capitale congolese hanno confermato che le trattative con l’ENI dovrebbero concludersi entro pochi giorni o forse si sono già concluse, ma ancora tenute riservate.
Secondo queste informazioni la compagnia italiana si è impegnata a investire 200 milioni di dollari (136 milioni di euro), così ripartiti: 40 milioni allo sfruttamento dei campi del Lago Alberto, 60 per il Lago Tanganika e 100 per il Bacino Centrale, cioè il Lago Edoardo. E’ prevista anche una piattaforma da costruire nelle acque del Tanganika, da utilizzare, nel caso in cui l’ENI riesca a portare a casa anche una concessione chiesta alla TPDC, Tanzania Petroleum Development Corporation, per esplorare un blocco sul versante tanzaniano del lago.
Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
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LA SECONDA PUNTATA
Assalto al petrolio in Congo K/2: i negoziati dell’ENI, i personaggi inquietanti e l’opposizione della società civile